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domenica 15 settembre 2013

LO ZOLFO, LA CHIESA E DON GASPARE RIZZO. 1 di 2


Pietre incrostate di zolfo.


UOMINI DI CHIESA E UOMINI DI ZOLFO


Calogero Messana traccia il profilo di un prete-imprenditore montedorese dell'Ottocento poco curante del proprio ministero, anzi, dal comportamento decisamente esecrabile.

Per colpa dello zolfo, anzi, si direbbe delle sue esalazioni infernali in quanto fonte di ricchezza, di sfruttamento, di imbrogli.



"È una febbre, quella dello zolfo," scrive Consolo, "che cresce col tempo, una drammatica epopea che si sviluppa nell'arco di due secoli, tra congiunture, crisi, crolli di prezzi, riprese e miracoli..." (Di qua dal faro). 


La Chiesa sarebbe dovuta stare dalla parte dei poveri e degli sfruttati, e in effetti lo era, o meglio, lo sarebbe stata con più decisione negli anni successivi al "caso Rizzo", dopo lo scossone socialista dei Fasci siciliani del 1892, ma, nonostante alcuni esempi negativi, per non appiattirsi su posizioni anticlericali e per un più esaustivo inquadramento della dialettica  intercorsa tra Chiesa nissena e "società dello zolfo" bisognerà ricorrere agli studi degli storici come ad esempio a quelli di mons. Cataldo Naro.


"La Chiesa nissena dovette misurarsi con questa 'società dello zolfo'. Il confronto con la realtà sociale nata e cresciuta dallo zolfo e per lo zolfo rappresenta uno degli aspetti più importanti del complesso e articolato rapporto della Chiesa nissena con la società circostante...". 

Cataldo Naro, "Chiesa nissena e società dello zolfo nella seconda metà dell'Ottocento", in Momenti e figure della Chiesa nissena dell'Otto e Novecento, Edizioni del Seminario, Caltanissetta 1989, pag. 95.

Resta intanto il  caso di don Gaspare Rizzo, sfruttatore dei "coetus inferiores".                                                                                  P. C.

 



MONTEDORO 1850 - UN CASO EMBLEMATICO:
DON GASPARE RIZZO

di Calogero Messana 

APPALTATORE SPREGIUDICATO E CONCUBINO

Appaltatore di miniere, Vicario Curato, Consigliere Comunale... e concubino.Un personaggio che ho più volte incontrato tra le carte delle vicende minerarie di Montedoro è il Sac. Gaspare Rizzo.

Dalle notizie fornite da Petix risulta nato a Racalmuto ma figlio di Calogera Caico di Montedoro e cugino di Cesare Caico.
Dopo la restaurazione borbonica, seguita alle vicende del 1848, restò libero il posto di Vicario Curato del paese poiché il Sac. D. Giovanni Petix aveva aderito alla rivoluzione e ne fu una delle vittime. L’incarico, di nomina comunale, venne assegnato quindi a D. Gaspare Rizzo.

Il primo documento, del Febbraio 1853, di suo pugno risulta inviato a Pietro Tucci , Ispettore Scientifico per la estrazione degli zolfi etc, in cui esordisce "Con ragione Ell’assordato dalle voci di quei miseri abitatori delle case presso la miniera Comunale, poiché il Sindaco Morreale e quell’impostore di Guarino medico comunale che non potendo sfogare i loro livori hanno persuaso quei miseri che, se non è oggi sarà domani sprofonderanno negli abissi di una miniera cadente. ( omissis – vedi doc. integrale Rizzo-Tucci).

Qualche anno prima (1850), assieme ad altri soci, aveva preso il sub-appalto della miniera Comunello (sotto il cozzo della chiesa) dopo circa 16 anni di abbandono. Iniziati i lavori ricominciarono i problemi per i fabbricati posti nelle vicinanze e sovrastanti la miniera stessa. Come si legge dalla lettera accusa gli esponenti del partito avverso di calunnia nei confronti dei gestori della miniera. L’avventura come appaltatore durò poco poiché le case crollavano davvero e non si trattava di imposture.

Nel mese di Agosto un gruppo di proprietari di fabbricati danneggiati scrivono all’Intendente per denunziare il comportamento del "Vicario Rizzo gabelloto della zolfara Comunale per non avere voluto pagare il lucro delle case locate agli esponenti da Maggio a questa parte vengono espulsi dalle case locate e quindi rimangono in mezzo alla strada" …(lettera del 7 Agosto 1853).

L’intervento del Luogotente Generale di Sicilia, Principe di Satriano, blocca le attività di scavo "di quei tristi che hanno malmenato gli interessi comunali. Essi poi malgrado il divieto lor fatto non hanno lasciato di scavare nelle terre sottostanti al caseggiato, in modo che pei danni arrecati nelle case può esserne compromessa la vita degli abitanti... e mi sono determinato a disporre ch’ella proceda in via civile e criminale, chiedendo con la prima lo scioglimento del contratto ed il ristoro dei danni ed interessi pei guasti commessi dai gabellieri con la pessima conduzione degli scavi… nella via criminale poi farà ammannire tutti gli elementi che valgono a provare le frodi commesse nella licitazione del 1850 e le usurpazioni dei fittajuoli al di la del terreno nel quale avrebbero dovuto limitarsi…etc (lettera all’Intendente del 12 Agosto 1853).

Quest’ avventura finì male.


CONDANNATO AL SOGGIORNO OBBLIGATO

Il Rev. Rizzo venne inviato al soggiorno obbligato a Caltanissetta. Scrive da questa città al Luogotenente Generale di Sicilia affinché venga rimandato a Montedoro o in caso negativo che venga inviato in carcere in cui almeno avrebbe avuto un pezzo di pane!

A Sua Eccellenza Luogotenente Gen. In Sicilia Palermo

5 Agosto 1853

Il Sacerdote D. Gaspare Rizzo Vicario in Montedoro, pieno del più profondo rispetto espone all’E.V. che dall’Intendente di Caltanissetta è stato chiamato a residenza forzata in quel Capo provincia e sottoposto alla sorveglianza di Polizia. Causa di questo severo provvedimento vi è una questione d’interesse per affitto di zolfatara vertente tra lui e la Comune di Montedoro; questione tutta civile, e dei Magistrati esclusiva competenza.

Dopo 11 anni di Parrocato, dopo avere a proprie spese fornita la chiesa degli arredi sacri che la decorano; dopo aver serbata nelle passate vicende intemerata condotta, e mostrato il maggiore attaccamento al Real Trono (!), non sa il ricorrente trovar modo a comprendere i rigori immeritati che lo colpiscono. Epperò prega quindi l’E.V. perché con quella eminente giustizia voglia emettere gli opportuni ordini onde sia egli restituito alla sua famiglia, ed alla cura di cui trovasi investito; rinviandosi ai Tribunali Civili la contesa per lo affitto della Zolfara.

Egli non dubbita di questo tratto di sua benignità. Che se poi la sventura, che lo colpisce, dovrà portare la continuazione del Domicilio forzoso impostogli, allora l’infelice supplicante nella assoluta impotenza a vivere, cui trovasi ridotto, desidera che il confino gli fosse cambiato col Carcere, onde così, al pari del più tristo malfattore ottenere un pezzo di pane per alimentarsi, e sottrarsi agli orrori dell’indigenza".

Grazia che spera.

Cosa era successo per tale provvedimento ?



MEGLIO IL CARCERE

Dalle indagini sulla gestione della Miniera Comunale si era scoperto un grosso imbroglio che oggi sarebbe definito peculato.
Il gabelloto ufficiale figurava Don Ludovico Morreale che aveva convenuto col Comune lo estaglio del 10% sullo zolfo prodotto; in realtà con più contratti di sub-gabella, alcuni degli amministratori Comunali, avevano stimato e concordato un estaglio reale del 25% , la differenza del 15% restante sarebbe stata divisa tra Ludovico Morreale, Salvatore Scalia, Cesare Caico, il Sacerdote Guarino ed il Sacerdote Rizzo.



Foto di Giuseppe Palumbo

venerdì 12 luglio 2013

LA MADONNA DEL MONTE ATTENDE GLI ATTI

Quando Totò Sardo mi espresse il desiderio di voler incontrare mons. Cataldo Naro per invitarlo come relatore ad un convegno sulla Madonna del Monte di Racalmuto ne fui ben felice.
Alcune circostanze: era la fine del 2002;  mons. Cataldo Naro era stato da poco nominato arcivescovo di Monreale; il dott. Salvatore Sardo rivestiva il ruolo di assessore alla cultura e di vicesindaco;  nel 2003 sarebbe caduto il cinquecentesimo anniversario della venuta "miracolosa", secondo la leggenda, della statua della Madonna detta del Monte a Racalmuto.
Ancora echeggiavano in paese i nove giorni di festeggiamenti per il cinquantenario dell'incoronazione della Madonna nel 1988, i festeggiamenti del 2003 si preannunciavano altrettanto solenni secondo le aspettative. Il convegno si inseriva in questo clima.

Ci recammo in Episcopio a Monreale per estendere l'invito e poi, conoscendo l'indole di mons. Naro e la serietà dello studioso, ritenni opportuno fargli avere alcuni libri per la necessaria documentazione; glieli portai a Poggio San Francesco dov'era in corso un ritiro spirituale condividendo per un giorno intero l'agape fraterna e le evangeliche meditazioni. L'appuntamento per Racalmuto fu confermato.


Mons. Naro venne e alla presenza di vari studiosi e dell'arcivescovo di Agrigento tenne una conferenza ricca di originali spunti di riflessione


Al termine dei lavori il comune diede incarico allo studioso don Biagio Alessi di collazionare gli atti e predisporli per la pubblicazione. 
Le cose non andarono così. 
Il prolungamento dei tempi tecnici e la morte prematura di Padre Alessi, il cui lavoro, ulteriormente sollecitato e giunto a un buon punto, ho potuto visionare nel periodo del mio incarico come assessore tecnico alla cultura, rimandarono la pubblicazione alle calende greche. 
Si sarebbe dovuto recuperare il lavoro già compiuto  presso gli eredi. Non s’è fatto. 

Sarebbe stato bello pubblicare e presentare gli Atti a dieci anni di distanza del convegno, durante la Festa del Monte di quest'anno, che si svolgerà nei giorni di venerdì 12, sabato 13 e domenica 14 luglio 2013.

Nel frattempo, oltre mons. Naro, qualche altro relatore è morto.  Per non lasciar cadere l’evento nel dimenticatoio, nel 2010 ho chiesto ad Enzo Di Natali, direttore della rivista “Oltre il muro”, di ospitare l’intervento di mons Naro preceduto da una mia breve nota per contestualizzarlo.  P. C.






ALCUNI PASSAGGI DELL'INTERVENTO DI MONS. CATALDO NARO

[...] L’autore, un gesuita, padre Morreale, dice a un certo punto del suo volume, pagina 122, che a chi volesse chiamare fanatismo le manifestazioni di culto verso la Vergine, devo rispondere che una cosa è l’autentico sentimento religioso e altra cosa è l’ammirazione cieca, l’entusiasmo incontrollato, non illuminato dalla ragione, il vero sentimento religioso non è fanatismo, non è semplice tradizione, anche se questa nei suoi aspetti positivi ha una importanza non trascurabile, non è pura abitudine, ripetizione cioè di atti per meccanica consuetudine, non è una qualsiasi religiosità pagana né si riduce ad animo naturalmente religioso, che talvolta mescola indiscriminatamente cristianesimo e paganesimo.

         È un autore che scrive negli Anni Settanta del secolo appena trascorso, mi pare alla fine del ’77 dice il Padre Sferrazza nell’Introduzione, quindi una trentina di anni fa, e  si sente obbligato a dire che certe manifestazioni della devozione mariana qui a Racalmuto non sono paganesimo,  non sono fanatismo, e nel dire questo, accusatio non petita, vuol dire che lui o altri pensavano questo. Non è così?  Lo stesso autore a pagina 117 raccontando dell’incoronazione della statua della Vergine qui a Racalmuto il 12 giugno 1938, riferisce delle omelie che ben tre vescovi tennero in quella occasione, il vescovo Peruzzo, vescovo diocesano, più Ficarra e Jacono mi pare, vescovi originari della diocesi, e riferisce padre Morreale che in quella occasione i vescovi tennero a dire qual era la vera devozione mariana, vera, contrapposta a falsa, non vera, deviata, e cose di questo tipo.

Guardate, prendiamo sul serio queste affermazioni. Che significano dal punto di
vista culturale? Significa che chi scorge in manifestazioni attuali, sotto i loro occhi
30 anni fa o 60 anni fa per l’incoronazione, scorge qualcosa di non vero, di non autentico, di pagano, di non veramente cristiano, da una valutazione, una valutazione che definisce un comportamento, che definisce un comportamento che è culturale, che è frutto di una storia, e dando questa valutazione afferma uno scarto tra la sua cultura, il suo modo di intendere come autentica una forma di devozione, e chi invece, rilegato nel passato in questo caso, non attinge quella autenticità. Il problema non è di paganesimo e cristianesimo, il problema è di livelli storicamente datati di cultura cristiana. 
Io credo che  non si possa dire sul piano fenomenologico storico, qui ci sono diversi studiosi di storia, che una manifestazione risalente, che so, al 500, giudicata dal 900, solo perché giudicata sulla base della cultura cristiana del 900, non rispondente ai suoi canoni, debba essere valutata come pagana, risale semplicemente ad un’altra epoca in cui il cristianesimo culturalmente si esprimeva in maniera diversa. [...]