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venerdì 30 settembre 2022

DI SANTUARIO IN SANTUARIO: EQUITREKKING DEL CUORE NEL CUORE DELLA SICILIA

Testo e foto* di Nino Di Chiara





Dal 30 settembre al 7 ottobre equitrekking dei tre Santuari: prima tappa da Gibilmanna a Tindari.
Seconda tappa l'anno prossimo: dal santuario di Tindari al Santuario della Madonna delle lacrime di Siracusa.

Un gruppo di appassionati di equitrekking, provenienti da diverse zone della Sicilia, partirà sabato 1 ottobre dal Santuario di Gibilmanna per fare un viaggio epico, lungo vecchie trazzere polverose ed arrivare, dopo sette giorni di cammino, allo splendido Santuario mariano di Tindari o del Tindaro.

Il gruppo si addentrerà in posti stupendi, dove la storia siciliana ha lasciato un segno indelebile nel tempo; visiterà Chiese, castelli, masserie, conventi; avrà la possibilità di immergersi in aree naturalistiche mozzafiato, dove madre natura continua a dettare i tempi delle stagioni:

non appena giri lo sguardo ti trovi davanti Sua maestà l'Etna, il lago Trearie, paesini pittoreschi immutati nel tempo.

Si avrà modo di vivere sette giorni diversi, a ritmi lenti, come qualcuno li ha definiti.

Il gruppo che parteciperà al viaggio, molto affiatato e accomunato dalla passione per l'equitrekking, sarà spinto dalla curiosità di conoscere o rivisitare buona parte del patrimonio culturale e paesaggistico dei territori della Sicilia d'annintra come viene definita in una raccolta di foto.

















.*Alcune foto sono riprese da Internet per documentare in anticipo il percorso

giovedì 8 novembre 2012

HO PIANTO PER FLORA



Racconto inserito nel volume collettaneo Italo. Storie di animali di prossima pubblicazione.


1.


Flora, la gazza ladra

                                     Racconto di Piero Carbone



Quella sera ho pianto.  
Per una gazza ladra. 
Nonostante mi vergognassi un po’ di quel pianto, ho appeso al muro della stanzetta una sua foto sotto vetro. E le ho dedicato una poesia. 
Quasi fosse una persona a cui può legarsi un ventenne.

            Ero studente universitario e mentre facevo un giro in bicicletta vidi un ragazzo che seduto su uno scalino giocherellava con un uccello dalle penne nere e dalla coda bianca. Era una scena abituale al mio paese vedere nel mese di maggio ragazzi trastullarsi con uccelli di primo volo o sottratti ai nidi dai genitori per regalarli ai figlioletti. – Lo vuoi? - mi disse quel ragazzo. – Tanto, lo devo buttare. – Lo presi.



            All’indomani, Flora, la gazza ladra che ancora non aveva messo su tutte le penne per volare, fece con me il suo primo viaggio dentro una scatola di scarpe bucherellata, da Racalò a Palermo. Una volta arrivati, le trovai una sistemazione nel soppalco della stanzetta al Pensionato universitario “San Saverio”. Comprai del fegato al vicino mercato “Ballarò”. Presi la piccola gazza dal soppalco, la poggiai sul davanzale della finestra e l’imboccai. Terminata l’operazione, la riposi nella scatola senza coperchio. Appena una breve pausa e subito a studiare. 

Si avvicinava il periodo più intenso dell’anno accademico con la sua raffica di esami. In tutto “San Saverio” i cervelli fumavano. Nel pomeriggio c’era un silenzio surreale. Io portavo avanti lo studio di tre materie contemporaneamente ma quella che mi appallava di più era la Teoretica. “Il pensiero che pensa se stesso e nel gioco dialettico con l’infinito misura la propria finitezza, etc. etc. etc.”. Roba da super intelligenti. O da depressi.



             Un rumore per fortuna mi distrasse. Mi girai verso il soppalco e vidi Flora scavalcare la scatola e dal soppalco lanciarsi verso di me. Planò sulla mia testa. Saltò sulla spalla, beccò i lobi senza orecchini, dalla spalla sul davanzale della finestra e infine sul terrazzo che ricopriva i quattro lati del porticato. La mia stanzetta era al primo piano, potei saltare anch’io sul terrazzo e riprenderla subito. Ma quando il giorno dopo ripeté la stessa acrobazia, la lasciai passeggiare, libera, sul terrazzo, sotto gli occhi rilassati degli studenti che si affacciavano dalle finestre dei quattro lati interni del Pensionato.



            Questo rito durò una settimana; qualcuno incominciò a mormorare; qualche altro sibilò che “l’amico dell’uccello nero dalla coda bianca” fosse esaurito o che addirittura avrebbe “soffiato” al direttore del Pensionato quella presenza animalesca, proibita dal regolamento. Gli impiegati della mensa, però, ogni giorno avevano la premura di mettere da parte frattaglie di carne per lo studente del primo piano. Fatto sta che appena gli studenti non videro per due pomeriggi di seguito la gazza ladra trotterellare sul terrazzo, vennero a bussare per chiedere sue notizie. 
Dissi che si era spezzata una zampetta. Una studentessa in medicina, con cui in seguito saremmo diventati amici, si offrì all’istante di rimediare e fissò la zampetta rotta con uno stecco rigido. All’indomani, con piacevole sorpresa, lungo il terrazzo, tutti gli studenti poterono vedere divertiti la gazza incerottata e più saltellante di prima.

            Dopo un mese la zampetta era perfettamente guarita e l’esame di Teoretica era andato benino. Mi rimanevano quelli di Filosofia morale e di Psicologia. Ero stanco, ma Flora mi teneva occupato e mi faceva distrarre.  Leggevo Kant quando la vidi volare per la prima volta. Prese un’altra abitudine: subito dopo il pranzo, andava ad appollaiarsi sul tetto del Pensionato e rientrava nella stanzetta nel tardi pomeriggio, all’imbrunire. Solo allora chiudevo la finestra. E mi sentivo in compagnia. 
Qualche volta le parlavo, specialmente alla vigilia degli esami, e avevo la sensazione che gorgogliasse qualcosa in risposta.

            Ma una sera, ahimè, ritornando al Pensionato, dopo essere stato in pizzeria per festeggiare l’esame di Psicologia, trovai una brutta sorpresa. Me ne accorsi appena aprii la porta della stanzetta, guardando la finestra. Avevo chiuso inavvertitamente le ante prima di uscire, non pensando che Flora era già volata, come d’abitudine,  sul tetto del Pensionato. Avrà sicuramente tentato di rientrare prima di sera; forse avrà sbattuto, facendosi male, contro i vetri della finestra chiusa. Speravo di trovarla sul davanzale, su uno dei quattro lati del terrazzo, o che addirittura si fosse imbucata in un’altra stanzetta con la finestra aperta. Attaccai perfino un avviso in portineria. Niente. Nessuno l’aveva vista.

            Nell’abbassare la serranda, prima di andare a letto, avvertii una specie di vuoto, quasi l’assenza di una persona vera. Piansi. Incominciai a scrivere. Riaprii la serranda, preparai il caffè, e rimasi più di un’ora a guardare e riguardare il terrazzo, il tetto del Pensionato, la palma immobile al centro del cortile sotto una bellissima luna.  



2.


                                               A Flora
 A la carcarazzòtta c’addrivavu / e nun turnà cchjù.
Alla gazzaladra che ho allevato / e che non è più tornata.

Fusti pi mia un suonnu.

D’unni vinisti un sappi,
un misi di vita assiemi
fusti ccu mia sullena;
duoppu ti nni scappasti.

Chistu un lu pozzu cridiri
né ancora oi lu sacciu
quali fu la to sorti:
la libbirtà o la morti.

Ma si si’ ancora viva
spirticchja e rumutusa,
nun ti scantari, torna,
un fàriti apprïari.

E allegrami li jorna.



Fosti per me un sogno. // Donde venisti non l’ho mai saputo, / un mese di vita insieme / sei stata con me giuliva;// dopo sei scappata. //  Questo non posso credere / né ancora oggi lo so / quale è stata la tua sorte: / la  libertà o la morte. // Ma se sei ancora viva, / scaltra e giocherellona, / non temere, torna, / non farti pregare.  // E rallegrami i giorni.  
                                                                                                             



3.

                  



Le foto 1e 3, molto recenti, sono di Giuseppe Sardo Viscuglia, fotografo "naturalista".
La foto 2, senza pretese tecnico-estetiche, ritrae Flora sul terrazzo del Pensionato Universitario "San Saverio" a Palermo, 1980 o 1981.