Blog di Piero Carbone (da Racalmuto, vive a Palermo). Parole e immagini in "fricassea". Con qualche link. Sicilincónie. Sicilinconìe. Passeggiate tra le stelle. Letture tematiche, tramite i tags. Materiali propri, ©piero carbone, o di amici ospiti indicati di volta in volta. Non è una testata giornalistica. Regola: se si riportano materiali del blog, citare sempre la fonte con relativo link. Contatti: a.pensamenti@virgilio.it Commenti (non anonimi). Grazie
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sabato 16 maggio 2020
sabato 29 marzo 2014
LE CAVIE SIAMO NOI?
Circa un anno fa si organizzava al Castelluccio di Racalmuto una mostra di sei artisti racalmutesi nell'ambito di una manifestazione che prevedeva diversi altri eventi.
Per i suddetti artisti, pittori e scultori, si è ipotizzata o auspicata l'appartenenza ad una "Scuola di Racalmuto" quasi a rinnovare i fasti del secentesco Monoculus Racalmutensis Pietro D'Asaro.
Le ipotesi e gli auspici sarà il tempo, come ci auguriamo appunto, a inverarli, ma è una certezza che tutti hanno dimostrato e stano dimostrando continuità e vitalità nel loro lavoro. Come ad esempio, il giovane Simone Stuto e il veterano Nicolò Rizzo che ritroviamo, con mutata pelle, in qualità di curatore di una mostra che comprende quattro artisti tra cui il bravo Simone.
Riconoscendo le qualità pittoriche, grafiche, fotografiche, nonché la serietà, il rigore metodologico e la raffinatezza stilistica di Nicolò, possiamo concedergli tranquillamente credito sulla qualità degli artisti su cui ha voluto incuriosire fin dall'annuncio della mostra stessa.
Con le sue locandine, infatti, e relativi messaggi baluginanti, parcellizzati, centellinati sul web, ci ha da un mese a questa parte incuriositi, stuzzicati, provocati e infine accontentati, rivelandoci apertis verbis di che cosa si trattava, i nomi degli artisti, l'identità del curatore, del critico, il luogo e le date dell'evento, i simpatizzanti, gli sponsors. Insomma, tutto quello che normalmente si comunica negli inviti e nei classici comunicati stampa a ridosso degli eventi. Lo ha fatto anche Nicolò, da accorto stratega della comunicazione.
Ma alla fine potremo dirci appagati? O le cavie siamo proprio noi?
Bisognerà assolutamente verificarlo andando a vedere coi propri occhi la mostra e poi guardare, complici o dissenzienti, i suoi.
Scommetto che reggerà lo sguardo.
Propongo alcune locandine "in crescendo" che hanno fatto seguito alla prima sulla quale su un elegante sfondo nero si leggeva semplicemente "Cavie".
Link correlati:
giovedì 19 settembre 2013
INNAMORATI DEL CASTELLUCCIO COME SINEDDOCHE
Visti da vicino.
Programma televisivo condotto da Nicola Giangreco
Telestudio 98 - 4 luglio 2013
Link:
http://www.youtube.com/watch?v=7OcRXDkimFI
UN POST PARLATO
Questo è un post parlato; mettetevi comodi, come consiglia Calvino quando ci si accinge a leggere un libro, e partecipate idealmente al salotto di Telestudio 98 in cui, da parte di alcuni protagonisti, viene rievocato l'evento corale del 23 giugno 2013, con un entusiasmo che non sembrerà eccessivo se rivissuto come innamorati, tra innamorati, del Castelluccio.
Il Castelluccio, che è nell'immaginario di tutti, inteso come "sineddoche" ovvero "la parte per il tutto" dove il "tutto" sarebbe il paese, così come al paese si rivolgeva implicitamente il poeta Giuseppe Pedalino Di Rosa quando da Milano ai primi del Novecento si rivolgeva alla Funtana di novi cannola e cantava:
Chiara Funtana di novi cannola
quannu ti viju lu ma cori sciala.
Mia libera traduzione:
Luminosa Fontana dai novi getti
quando ti vedo il mio cuore gioisce.
Mia libera traduzione:
Luminosa Fontana dai novi getti
quando ti vedo il mio cuore gioisce.
Scialare, godere emotivamente, intellettualmente, si può, al Castelluccio, per il Castelluccio, "museo di se stesso", "tempio laico", secondo Angelo Cutaia, dove i racalmutesi potrebbero celebrare gremiti ed edificanti "riti culturali". L'aerea collocazione sul Monte omonimo lo favorisce:
'nta li primi lu to' nomu spazia.
Ma anche una semplice visita, una passeggiata, spontanea o organizzata, hanno il sapore di un laico rito del nostro immaginario che trasfigura la torre-fortezza in pietra del XIII secolo in sigillo di identità. Nonostante la stradella malagevole che vi conduce.
Sulla passeggiata organizzata al Castelluccio.
Link:
http://regalpetraliberaracalmuto.blogspot.it/2013/09/racalmuto-passeggiata-dal-castello-al.html
mercoledì 3 luglio 2013
LA SCUOLA DI RACALMUTO?
Nel presentare la mostra degli artisti racalmutesi al Castelluccio (uno scultore e cinque pittori) nella bella manifestazione di domenica 23 giugno 2013, voluta ed organizzata da me ed Angelo Cutaia, facendo un pronostico sul futuro è stata lanciata una sfida e azzardata un'ipotesi: la scelta degli artisti non era casuale, anzi, percorsi, metodi e stilemi comuni gettavano le basi per una possibile e riconoscibile scuola. La scuola di Racalmuto.
Una scuola
riconoscibile dall'aura e purtuttavia in fase di caratterizzazione. Identificabile
con un luogo semplicemente per l'appartenenza geografica. E ciò valeva anche
come un riconoscimento per la generazione degli adulti, i "maestri" (Giuseppe Agnello, Sergio Amato, Nicolò Rizzo) e un auspicio per i più giovani, gli "allievi" (Dimitri Agnello, Alfonso Rizzo, Simone Stuto).
Non vengono esibiti colori squillanti, dai pittori, ma filtrati da pensamenti, ripensamenti, citazioni, fino a sedimentare sul colore steso una patina di ombrose tonalità, i colori diventano colori pensati in funzione di se stessi prima di prestarsi a dare consistenza alle forme accennate o volutamente sbalzate. Il richiamo all'antico e alla ieratica ritrattistica, al primo impatto, potrebbero distogliere dal lavorio sul colore, del colore. Ma della figura c'è chi ne fa a meno e anche dei modelli guttusiani per condurci in inabissamenti kirkegaardiani. E la famosa luce siciliana con il suo riverbero esplicito sui colori carretteschi non viene negata ma indirizzata diversamente, incubata in meditazioni esitenziali, quasi raccolta nel palmo cavo della mano come una lucciola nelle sere senza luna immersi nella campagna buia.
Lo scultore affida alle forme tridimensionali il suo mondo, persegue con i suoi mezzi
(gesso, bronzo legno vetroresina) quello che i pittori realizzano con i colori, un personale discorso: la figura umana, gli animali, gli oggetti, si fanno portatori di un messaggio "ecologico" nel voler ripristinare antichi equilibri alterati, arcaiche sintonie con la natura: inizialmente la figura umana, dura, bitorzoluta, rude come un tronco o un sasso lavorato dal tempo, introietta l'aspirazione a riappropriarsi delle perdute sintonie e diventa essa stessa natura, tronco tra tronchi, sasso tra sassi. Successivamente, in scontroso dialogo con la modernità, la figura umana si ricompone in classicheggianti sinuosità ma ha bisogno di accostarsi agli elementi della natura per far sì che non sia una mera astrazione, per tal motivo al posto dei fluenti capelli c'è una cascata di rami e sterpi intricati, dalla testa di un uomo si innalza come un naturale prolungamento un tronco snello e ramificato.
In tal modo l'artista fa dialogare il classico con ciò che lo precede, con la naturalità dei più svariati elementi, ed è questo che persegue e gli importa al di là di ogni apparente forma bella: rendere fenomeniche le moderne contorsioni noumeniche.
I pittori e lo scultore sono accomunati dallo sguardo bifronte nel far dialogare con libertà e padronanza di accostamenti la tradizione con la modernità cui è sottesa come una scommessa quello che sembra uno speculare gioco linguistico: rendere la tradizione moderna e la modernità tradizione.
Non vengono esibiti colori squillanti, dai pittori, ma filtrati da pensamenti, ripensamenti, citazioni, fino a sedimentare sul colore steso una patina di ombrose tonalità, i colori diventano colori pensati in funzione di se stessi prima di prestarsi a dare consistenza alle forme accennate o volutamente sbalzate. Il richiamo all'antico e alla ieratica ritrattistica, al primo impatto, potrebbero distogliere dal lavorio sul colore, del colore. Ma della figura c'è chi ne fa a meno e anche dei modelli guttusiani per condurci in inabissamenti kirkegaardiani. E la famosa luce siciliana con il suo riverbero esplicito sui colori carretteschi non viene negata ma indirizzata diversamente, incubata in meditazioni esitenziali, quasi raccolta nel palmo cavo della mano come una lucciola nelle sere senza luna immersi nella campagna buia.
Lo scultore affida alle forme tridimensionali il suo mondo, persegue con i suoi mezzi
(gesso, bronzo legno vetroresina) quello che i pittori realizzano con i colori, un personale discorso: la figura umana, gli animali, gli oggetti, si fanno portatori di un messaggio "ecologico" nel voler ripristinare antichi equilibri alterati, arcaiche sintonie con la natura: inizialmente la figura umana, dura, bitorzoluta, rude come un tronco o un sasso lavorato dal tempo, introietta l'aspirazione a riappropriarsi delle perdute sintonie e diventa essa stessa natura, tronco tra tronchi, sasso tra sassi. Successivamente, in scontroso dialogo con la modernità, la figura umana si ricompone in classicheggianti sinuosità ma ha bisogno di accostarsi agli elementi della natura per far sì che non sia una mera astrazione, per tal motivo al posto dei fluenti capelli c'è una cascata di rami e sterpi intricati, dalla testa di un uomo si innalza come un naturale prolungamento un tronco snello e ramificato.
In tal modo l'artista fa dialogare il classico con ciò che lo precede, con la naturalità dei più svariati elementi, ed è questo che persegue e gli importa al di là di ogni apparente forma bella: rendere fenomeniche le moderne contorsioni noumeniche.
I pittori e lo scultore sono accomunati dallo sguardo bifronte nel far dialogare con libertà e padronanza di accostamenti la tradizione con la modernità cui è sottesa come una scommessa quello che sembra uno speculare gioco linguistico: rendere la tradizione moderna e la modernità tradizione.
La vitalità di una
scuola, in ogni caso, si manifesta attraverso la trasmissibilità con la famosa regola
dell'allievo che supera il maestro, e in una vera scuola non può non essere che
così: tutta l'esperienza passata diventa abilità per andare oltre: Giotto non
ha superato Cimabue? Michelangelo Carisi detto Caravaggio non ha superato
Simone Peterzano? E non sono andati a bottega tanti maestri, tanti geni
dell'arte italiana? E non è andato a bottega il nostro Pietro D'Asaro, maestro
a sua volta?
La bottega che
accomuna maestri e allievi è l'Accademia, intesa non tanto e non solo come
curriculum, visto che il giovane Dimitri non ha ancora l'età per frequentarla,
ma come metodo.
Qui si apre
l'annosa questione dell'originalità, dello stile personale riconoscibile.
Ebbene l'Accademia è nemica giurata e spesso mortale sia dell'uno che
dell'altra. I più deboli restano a navigare per tutta la loro carriera
artistica nelle acque basse dell'accademismo, della bravura formale, del già
visto e sperimentato, i più robusti e iconoclasti sanno uccidere
l'accademismo assorbito percorrendo talvolta strade opposte a quelle canoniche
additate dall'Accademia e in tal modo diventano originali, veri maestri. Pippo Rizzo, accademicissimo, ha incarnato l'ossimoro: è stato un pittore futurista che è quanto dire.
La vera scommessa è
questa: vincere l'accademia attraversandola, non ignorandola.
Per accademia
intendo in senso lato la conoscenza e la pratica del linguaggio artistico
codificato, regolamentato e canonico, come per un musicista conoscere altri musicisti, saper
leggere la musica e saperla scrivere. Ci risulta difficile il solo immaginare che un
Beethoven, un Gershwin o un Verdi non conoscessero la musica e fossero a digiuno
di cultura musicale. La conoscenza di altre opere, la pratica delle note e
l'abilità del saperle scrivere non impedisce ai geni musicali di concepire
opere d'arte originalissime. Anzi, il bagaglio di conoscenze tecniche diventa
strumentario indispensabile e bagaglio moltiplicatore delle nuove idee, se se
ne hanno.
Tutto ciò, sia per
i nostri maestri, come e in quanto maestri, pur nel processo evolutivo e
dinamico dell'inesausta ricerca, è una certezza, come altrettanto sono una
certezza negli allievi lo studio serio e metodico, il saper guardare
l'esperienza degli altri, degli adulti, dei maestri, il volerli imitare in
segno di riconosciuto omaggio, il proponimento faustiano di superarli e quindi
"tradirli", perpetuando e rinnovando così la scuola.
Un tradire non disgiunto etimologicamente dal latino tradere e dalla traditio, e quindi dal tramandare.
Non a caso i "nostri" hanno voluto denominare la mostra antologica al Castelluccio "Arkaïkós. Ritratti interiori".
Un tradire non disgiunto etimologicamente dal latino tradere e dalla traditio, e quindi dal tramandare.
Non a caso i "nostri" hanno voluto denominare la mostra antologica al Castelluccio "Arkaïkós. Ritratti interiori".
Per limitarci al
campo artistico, in tempi di equivocata ignoranza traghettata per naïveté, di ribellismo
senza radici fine a se stesso scambiato e spacciato per rivoluzione, di
anarchia, insomma, bella e buona, di faciloneria, di pigrizia, di
occasionalità, l'essere accademici da parte dei "maestri" e degli
"allievi" costituisce una garanzia a monte di serietà e di studio.
Serietà di studio,
meticolosità di esecuzione, regressioni arcaiche, smascheramento di ogni
sedimentazione e sovrastruttura: tutte condizioni o semplici tensioni che, a
prescindere da ogni altro discorso, lasciano sperare rispettabilissimi esiti
nei neoarcaici introspettivi di Racalmuto.
sabato 11 maggio 2013
PITTORI RACALMUTESI E PENSAMENTI
"Vi
sono Pittori - ha scritto Padre Fedele da San Biagio Platani nei Dialoghi familiari sopra la
pittura difesa ed esaltata, Palermo 1788 - che tirano avanti nel dipingere Quadri, colla sola prima mano, ma vi sono degli
altri, che li faticano colla seconda mano; e finalmente vi sono stati, ed al presente vi sono quelli veri
Pittori, che senza badare al guadagno non proporzionato al di loro merito, ma soltanto al proprio onore
riflettendo, dipingono Quadri con lunga fatica di prima, seconda, terza, quarta, e quinta mano, fintanto che loro stessi
restano contenti, e non trovano più che fare".
Difficile pittura, dunque, paziente, di "quinta mano" come
dicevano gli antichi dei quadri rifiniti per il molto e certosino lavoro.
E’ il metodo eletto dai pittori, e dallo scultore, di cui si
riproducono alcune loro opere. Artisti dall’occhio esigente e critico, sulla
onorevole scia, dopo quattro secoli, del Monocolo conterraneo: questi, sicuramente,
li avrebbe ingaggiati nella sua “bottega” per farne da apprendisti altrettanti,
in varia misura, maestri. P.C.
1.
E' una grande tentazione voler rendere esplicito lo spirito.
2.
Le angosce sono come le malattie; vanno accettate:
la cosa peggiore che si possa fare è di ribellarvisi.
Anch'esse ci colgono per attacchi,
scatenati da occasioni interne o esterne.
E allora dobbiamo dire a noi stessi:
"Un altro attacco".
3.
Una confessione dev'essere una parte della nuova vita.
4.
Una buona similitudine ravviva l'intelletto.
5.
Io credo che Goethe abbia in realtà voluto trovare
non una teoria fisiologica, ma una teoria
psicologica dei colori.
6.
Il pensatore somiglia molto al disegnatore che vuole
riprodurre nel disegno tutte le connessioni possibili
7.
Nessuno può pensare un pensiero al mio posto, così
come nessuno tranne me può mettermi il cappello in testa.
8.
E' difficile indicare una strada a un miope.
Perché non gli si può dire:
"Tieni d'occhio quel campanile a dieci miglia da noi
e va' in quella direzione".
9.
Lo sguardo dell'uomo ha questo di peculiare,
che può rendere le cose preziose;
certo, così diventeranno anche più costose.
10.
Ho detto una volta e forse con ragione:
la civiltà del passato diventerà un mucchio di rovine
e alla fine un mucchio di cenere,
ma sulla cenere aleggeranno degli spiriti.
11.
Foto e opere degli autori:
1. Nicolò Rizzo, pittore
2. Alfonso Rizzo, pittore
3. Simone Stuto, pittore
4. Dimitri Agnello, pittore
5. Alfonso Rizzo
6. Simone Stuto
7. Giuseppe Agnello, scultore
8. Sergio Amato, pittore
9. Sergio Amato
10. Giuseppe Agnello
11. Giuseppe Agnello
Le riflessioni a intercalare sono di Ludwig Wittgenstein, tratte da Pensieri diversi, a cura di Georg Henrik von Wright, con la collaborazione di Heikki Nyman, edizione italiana a cura di Michele Ranchetti, Fabbri Editori, Milano 1996. Titolo originale: Vermischte Bemerkungen.
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