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giovedì 23 agosto 2018

VIRGILIO E MARINETTI? SE NON LO SONO, LO SIANO. Partiamo dalle "teste" di Athos



Teste di scena realizzate da Athos Collura.
Potrebbero impiegarsi nel "Dialogo nel bosco". 
Manca il terzo personaggio, conteso dai due, il poeta-pecoraio Giacomo Giardina





Un frammento del Dialogo nel bosco
Atto unico che prevede
 recitazione musica danza canto proiezione 

Virgilio:
Se ti chiedo – cos’è un fiore? – 
mi rispondi, nel Duemila:
- E’ un fungo alto nel cielo 

che ricopre la terra di morte -.
Se ti chiedo 
– cos’è un bosco un’ara un fonte? –
mi rispondi:
- E’ una fabbrica d’acciaio! -.

Se ti chiedo – cos’è un mito 
il mistero il vento il mare? – 
mi rispondi: - Non lo so.

Coro:
Facciata di metallo congegnato 
circuito smarrito
ormai è la vita
in Occidente.


Marinetti:
E’ un altro tempo, ormai, 
che noi viviamo,
un’altra era.
Del presente gioiamo 

senza rammarichi, 
l’orgoglio nostro. 
Respiriamo benzene,
non lamenti.
Cantiamo il tempo nostro
 senza rimpianti d’Arcadie.


Coro:
Nuovo Eden, Signore! 
Nuovo Eden, Signore!
 Possibilmente...
senza un nuovo Caino.


Giardina:
Uno mi incanta, 
l'altro mi appassiona!
...





ph ©athos collura

mercoledì 4 ottobre 2017

DIALOGO NEL BOSCO. Incipit del testo rinnovato per una seconda messa in scena, con Marinetti, Virgilio e Giacomo Giardina







DIALOGO NEL BOSCO

Atto unico



Il poeta pecoraio futurista Giardina entra e si colloca al centro della scena rivolto al pubblico. Si illumina alla sua sinistra (destra per il pubblico) un busto con il volto che indica Virgilio.

Voce fuori campo:
                                  
Mi esalto ricordando la Collina
virgiliana
E il mare…
dalla terra ferma interna al mare d’Aspra
…agitato stasera calmo dorato
come immenso feudo di grano senza vento!
Spreparato affondo da selvaggio pecoraio
in questo oceano che liricamente corre e sconfina
la fantasia.
Qui altro colore altra aria altro stile di vita”.
“A spettacoli di sogno, a miracolose realtà,
assisterò in alto sulle cime”.

                                 
      
Si spegne la luce alla sua sinistra  e si illumina alla sua destra  (sinistra per il pubblico) un busto con il volto che indica Marinetti.

Voce fuori campo:


“Mare mare mare inquinato salato deserto ubriaco”.
                                            “Non praterie con pecore e tori montuosi
non zappa né aratri per grezze terre
arate a lumache  tra spine e fioracci
selvaggi ma allucinanti esplosioni
di lampade che si rincorrono
geometricamente  
a gallerie ed archi 
a fiori giorno-notte
abbagliano travolgono…”


  Poeta Giardina:
(Rivolto alla statua di Virgilio):
L’uno m’incanta,
(rivolto alla statua di Marinetti, accendendosi la luce)
                                   l’altro m’appassiona.
                                         (rivolto verso il pubblico):
                                   E io?

Inizio del Preludio musicale mentre il poeta futurista-pecoraio esce lentamente di scena.

Alla fine del Preludio entra il Coro.

Coro:           
Facciata di metallo congegnato
circuito smarrito
ormai è la vita
in Occidente.

Mentre il Coro canta, entra con fruscio di vesti Virgilio e va a collocarsi sopra un altare rialzato nel lato sinistro (guardando il pubblico) del palcoscenico. A seguire entra, impettito, Marinetti e va a collocarsi, sul lato opposto,  in cima ad una scalinata che assomiglia al crestato dorso di un’iguana preistorica. Al termine del Coro:

Virgilio:           
       Se ti chiedo – cos’è un fiore? –
       mi rispondi, nel Duemila:
                          - E’ un fungo alto nel cielo che
                          ricopre la terra di morte -.
                          Se ti chiedo – cos’è
                           un bosco un’ara un fonte? –
                            mi rispondi:
                           - E’ una fabbrica d’acciaio! -.
                            Se ti chiedo – cos’è un mito
                            il mistero il vento il mare? –
                            mi rispondi: - Non lo so.

                    
Marinetti:               
E’ un altro tempo, ormai,
          che noi viviamo,
          un’altra era.
          Del presente gioiamo
          senza rammarichi,
          l’orgoglio nostro.
          Respiriamo benzene,
          non lamenti.
                                               Cantiamo il tempo nostro
          senza rimpianti d’Arcadie.

                                        
Virgilio:          
Anch’io vorrei. Ma
                    posso cantare se
                    paura ho nel cuore?

                    Sotto cieli neri di morte

                    all’ombra delle querce,
                    viburni siamo.                                         
Marinetti:             
Viva la scienza!
Ché ci dà la luce.
Beati i frutti
strappati all’ignoranza.
Viva il sapere.
Ché ci dà potenza.

Virgilio:           
Nell’immensità non vi era
terra, non vi era cielo,
non vi era mare. L’uomo,
chi l’ha inventato?

Coro:            
Ti dissero primitivo,
o uomo rintanato nei covili,
quadrupede all’impiedi,
lanciavi la fionda,
spartivi l’eredità col cielo;
ma senza congegni di morte
tu eri incivile.   

Virgilio:          
Sicilia dei canilupi
 alla distesa
abbaiano nelle notti illuni
le volpi
ci guastano le vigne.
Il mio poeta,
il poeta pecoraio lo sa.

Marinetti:
Dire della Sicilia sempre bene
O sempre male
 È un cattivo servizio
Anche in poesia.
Lo sa il poeta
incoronato di alluminio
che è il mio poeta.
Ai polsi gli scalpitano cavalli.
Virgilio:
In certe notti
di scirocco
 in Sicilia
 si sente
 il grido dei morti.

Marinetti:
Ma non è vero.

Virgilio:
Latomie violentate,
cremose colate di cemento.
E sì ch’è vero.

Marinetti:
Latomie e autostrade,
non c’è nesso.

Virgilio:
Sono un superstite del tempo
Sicaniche memorie
Ibridescenze
Giare per culle-morti.
Bracieri accesi
Nelle sere d’inverno.
Ignoro per un attimo la storia
Per cantare le pustole
Di sicula terra.

Coro:
Comiso
Scansata al pericolo
Trafitta dai missili nel cuore.
Vivamente si spera

Non sia subito sera...



Nota
Il virgolettato  in questo Post è di Giacomo Giardina

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domenica 17 aprile 2016

QUEL FUGACE "DIALOGO" CON MIMMO GERRATANA. Testimonianze di Antonio Ortoleva e Salvo Butera (Post del 17.4.2016)


screen capture:


Ci sono rimasto male ieri nel leggere sul profilo facebook di Antonio Ortoleva la sua costernata e immediata comunicazione su Mimmo Gerratana.
Delicata, precisa, per il giornalista scomparso. L'ho conosciuto; l'ho apprezzato: un signore; generoso. 
Me lo segnalò Pino Giacopelli e più di una volta andai a trovarlo al "Giornale di Sicilia". Tanto tempo fa. 
Fu molto disponibile a leggere un mio esile libretto, mi incoraggiò, ne scrisse. 
Non lo fece certo per ingraziarsi un potente marchio editoriale, piuttosto volle incoraggiare la persona sostenendone la scrittura, senz'altra contropartita. Credo che sia merce rara. 
Qualche volta ci fu un accenno ai suoi interessi letterari o meglio al rammarico di non potervisi dedicare come avrebbe voluto. 

Ho espresso il desiderio di riportare la nota di Antonio Ortoleva nel blog e lo ringrazio per l'affabile risposta:
"Liberamente Piero. Ha ragione lei, merce rara." 




La testimonianza di Antonio Ortoleva:


"Ci ha lasciati uno dei migliori giornalisti italiani, Mimmo Gerratana. E' morto al giornale improvvisamente, sconvolti i colleghi. Era il perfetto esemplare del giornalista perfetto: di prim'ordine nella professione, di etica inviolabile. Dualità imprescindibile. Inoltre, possedeva grandi capacità maieutiche, avendo allevato tanti giovani collaboratori, e soprattutto una cultura letteraria e non solo, inusitata per un giornalista.

Il mio ricordo personale: l'ho conosciuto poco più che ragazzo nel "clan Testa", un gruppo di scrittori e letterati "clandestini" capitanati dall'adorabile guru Tanino, uomo del Gruppo 63. 

Poi al Giornale di Sicilia. Facevamo negli anni Novanta un giornale delle borgate di taglio antimafia e Mimmo collaborava ad ogni numero e partecipò ad addestrare i ragazzi.


Dedicammo un'uscita al tema dei migranti e lui realizzò un reportage sulla letteratura mediterranea contemporanea, partendo dalla Corsica e risalendo su per i Balcani. Pochi in Europa sarebbero in grado di scrivere un articolo del genere.

Su uno di quei gommoni, concluse, poteva arrivare un premio Nobel. Quando qualcuno muore si scrive di una bella persona.

Questa volta non è retorica, ma cristallina verità"



Dall'articolo a lui dedicato sul suo "giornale", nell'aggiornata versione on line, a firma di Salvo Butera, trascelgo le annotazioni che rimandano ai suoi interessi letterari:


"Inoltre, ha sempre coltivato una passione per la letteratura e la poesia: aveva anche pubblicato una raccolta di liriche nel 1992 con il Girasole editore dal titolo “L’ombelico del mondo”:

«Un “diario” in cui l’autore ha trascritto impressioni e considerazioni sulla probabile e ancestrale rapportabilità che gli esseri hanno con le mutazioni interne ed esterne». Recentemente aveva anche pubblicato romanzi e altre raccolte in formato ebook e teneva un blog, “I sensi della letteratura - Pulsioni e ideologie”, che ha aggiornato anche oggi.
Di se stesso diceva:

«Mi guardo intorno, non solo a Palermo dove vivo, cerco di scrutarmi anche dentro e a volte produco testi, letterari o meno, come risultati delle mie piccole indagini private». Professionista dalla grande serietà e umiltà, non amava la ribalta né l’autocelebrazione. Sempre pronto e disponibile nel trovare soluzioni a piccoli grandi problemi quotidiani."

Salvo Butera, "Lutto al Giornale di Sicilia, è morto Mimmo Gerratana", in http://gds.it/2016/04/16/lutto-al-giornale-di-sicilia-e-morto-mimmo-gerratana_501150/





Rileggendo a distanza di tanti anni questa recensione, che conservo gelosamente in un ritaglio stampa, apprezzo ancor di più l'attenzione, la cura direi, che Mimmo Gerratana, in una redazione giornalistica, prestava alla scrittura anche quando si presentava nelle forme più dimesse e meno eclatanti, riscattando una scrittura di routine in occasione di riflessione di non effimera durata e non da bruciare distrattamente al ritmo incalzante di un quotidiano.
Un'idea della scrittura sicuramente molto distante da chi, anche nel mondo giornalistico, rincorre il successo ad ogni costo, da chi compulsa i riscontri pratici insomma di un'attività, la scrittura, che dovrebbe essere altro.

Grazie, Mimmo.




sabato 24 ottobre 2015

SE LE AVESSE VISTE BACHOFEN. L'Iguana e l'Altare di pietra al Bosco della Ficuzza per un Dialogo nel bosco

“Meditabondi pellegrini di Roma, nel secolo scorso, volentieri visitavano il Columbario della Villa Doria Pamfili sulla via  Aurelia per abbandonarsi alla contemplazione delle due figure, disegnate in modo trascurato e primitivo, di Niobe e di Prometeo.
Le due raffigurazioni esercitavano una profonda impressione non soltanto sul filosofico Bachofen che vi trovava materia ed ispirazione per il suo Simbolismo sepolcrale, ma  anche su archeologi come Brunn, Jahn e Stark”.
Karol Kerény, Miti e misteri, trad. it., Boringhieri, Torino.

Non solo su Johann Jacob Bachofen, Heinrich Brunn, Otto Jahn e Miriam T. Stark esercitano profonda impressione ma anche su Karol Kerény che ne riporta la notizia.

Anche su noi, ma di riflesso, e per tutt'altre ragioni e suggestioni, per quel che accade di ammirare in Sicilia.

Ma cosa accade in Sicilia?




Anche qui, complici sono due pietre "sacre" o se si vuole semplicemente suggestive.

Avviene un'improbabile contesa tra Virgilio e Marinetti, discesi nel bosco della Ficuzza per contendersi un loro presunto discepolo, apparentemente contraddittorio, un ossimoro vivente, il poeta pecoraio che viveva come un sanfrancesco nonché futurista Giacomo Giardina, incoronato nel 1931 quale poeta record meridionale con corona di alluminio dopo che lo stesso Marinetti nel 1928 a Palermo lo aveva pubblicamente elogiato.

Vi accenno nel Prologo al Dialogo nel bosco, che in questi giorni sto rimaneggiando per la messa in scena.

                            2000

Prologo


    Su un’eterna dialèssi: àpeiron o perenne divenire, ho immaginato Virgilio e Marinetti colti a dialogare dentro un bosco, assistiti dal Coro, muovendo  da un pretesto: due pietre strane, sulle quali l’arcadico poeta  e il modernissimo strapazzaparole stanno a fronteggiarsi, ognuno con il proprio vessillo a sventolare. 
 
   L’Iguana di pietra o Lacerta preistorica ha la bocca spalancata. Di fronte, l’Altare sacrificale, anch’esso di pietra ruvida.
    Attendono, l’Iguana e l’Altare: immersi nella vegetazione, hanno il profilo di due triangoli rettangoli, l’ipotenusa crestata di scalini li fa sembrare due animali accovacciati.
   Sopra, i due Personaggi: al vento affidano parole, non se le lasciano strappare. Basta una fronda che si muova e loro sanno di essere ascoltati.

   Le suddette pietre si trovano in cima ad un sentiero in Val dei Conti, al Bosco della Ficuzza, caro una volta a principi e sovrani in vena di estri venatori; popolati, in antico, da spiriti boschivi ninfe satiri numi pastorali; oggi, preso d’assalto da stormi di villeggianti che altri estri e altri fumi meno sacrali, vengono a consumare nei fine settimana o i lunedì di Pasqua. 

   Ma quali ancestrali riti hanno vissuto queste pietre toccate sicuramente dall’uomo in epoche lontane? Di quali desideri umani e divini si sono tinte, e di quale sangue?
 “Nient’altro è possibile pensare quassù” direbbe  Pavese. “Non rimane che l’erba sotto il cielo”.

   Vaganti personaggi fuori tempo. Qualche inudibile pensiero. 







1978