venerdì 9 settembre 2016

COMPLICE È IL PAESAGGIO, NEL ROMANZO DI GIUSEPPE ROMANO. Presentazione oggi al Museo del disegno



Oggi al Museo del disegno
Palermo, via Mogia 8
Presentazione del romanzo di Giuseppe Romano, Come una carezza
Edizioni Arianna

Con interventi di Piero Carbone, Salvo Ferlito, Nicola Romano



Di un romanzo se ne può parlare  da diversi punti di vista,  quello recentemente letto di Giuseppe Romano, che si presenta oggi al Museo del Disegno, Come una carezza (Edizioni Arianna), ne offre parecchi sul versante esistenziale e sociologico, e altri relatori sicuramente li scandaglieranno, io invece sono tentato di soffermarmi su un aspetto meno analitico, apparentemente meno introspettivo: il paesaggio.

http://www.edizioniarianna.it



La ragione è dovuta al ricordo di alcuni appunti sulla campagna toscana confrontata con quella siciliana risalenti ad un  appunto domestico di giovedì 15 ottobre 1998.

L’input per rileggere quegli antichi appunti me lo ha dato il riferimento al paesaggio con le sue descrizioni nel romanzo di Giuseppe Romano.


Nel Capitolo I, il paesaggio amico, familiare, spensierato, vien fuori da cromatissime quanto veloci pennellate:

“…con gregge da pascolare si dirigeva per colline e campi verdi, inebriandosi di quei paesaggi. Le belle giornate di quel fine marzo gli garantivano parecchie scorribande per i prati ancora verdi delle montagne; da lì scorgeva gli aguzzi tetti delle case ed il campanile della chiesa… 
Passo dopo passo Antonio sentiva soltanto il crepitio delle suole consumate contro il brecciolino. Quando prese le pecore da pascolare, non aveva altri pensieri per la testa che godere di quella libertà, tra i campi sparsi di ginestre e gli odori intensi della natura.”, pag. 21.



Nel Capitolo II, il trasferimento della famiglia del protagonista, Antonio, da Bisacquino a Castelnuovo in Val di Cecina, viene sancito dal paesaggio, non inerte contenitore o spettatore ma compartecipe del destino dei migranti che lasciavano alle spalle una situazione problematica e andavano incontro al sogno di una vita migliore.  
Il viaggio viene scandito in due tempi che assumono il valore di una rappresentazione scenica: il paesaggio che si lascia e il paesaggio che si trova.




Il paesaggio che si lascia.

“Sedeva accanto al finestrino, quasi accucciato nel suo sedile di  antico vagone di terza classe, dove attraverso i vetri sporchi ammirava per la prima volta l’azzurro del mare e le onde increspate rincorrersi una dopo l’altra. 
Il suo volto imberbe, dove spuntavano occhi azzurri e profondi, nascondeva un forziere nel quale erano nascosti segreti inconfessabili. Li avrebbe portati con sé, lontani da Bisacquino, seppellendoli nel piano silenzioso amaro del dolore”. Pag. 29

Come un intermezzo.

“Quel treno procedeva veloce verso  luoghi lontani e sconosciuti. 
La notte trascorsa su quel vagone, cigolante e rumoroso, acuiva nel silenzio respiri profondi di viaggiatori stanchi…”.
Pag 29


Il paesaggio che si trova.

“La Sicilia era alle spalle. 
La strada ferrata serpeggiava tra boschi e anonimi paesi, tra ponti e stazioni sonnecchianti. 
La Toscana fino a quel momento era soltanto una macchia marrone nelle cartine geografiche della classe elementare.” Pag. 30

“Nei giorni a seguire, Antonio e la sua famiglia cominciarono a prendere dimestichezza con il nuovo mondo: la nuova casa condivisa con i parenti, facce nuove e scolpite nella loro secolare memoria, case strette le une alle altre a formare un reticolo urbano ordinato, immutato ed immutabile. 
Quello non era Bisacquino, non assomigliava per nulla a qualsiasi paese della Sicilia. La gente era sempre intenta a lavorare, andava via di fretta ed amava riunirsi in associazioni politiche; 
lì trascorrevano le serate attorno ad un buon bicchiere di Chianti e a volte si scatenavano in chiassose feste paesane. ” pag 31

“La vita a Castelnuovo Val di Cecina si trascinava monotona fra la bottega del panettiere, i campi da coltivare e la fattoria. […] 
La nostalgia si era impossessata delle sue giornate e dei suoi pensieri, permeandolo di malinconia. Così l’anno 1959 volgeva al termine e l’autunno aveva ingiallito i rami di alti castagni, faggi, sugheri ed ebani. 
Le piogge abbondanti avevano riempito i letti dei fiumiciattoli vicni al borgo e la temperatura gradualmente si era irrigita”. Pag. 31


Giovanni Papini:

La campagna che sento io, la campagna mia, è quella di Toscana, quella dove ho imparato a respirare e a pensare; campagna nuda, povera, grigia, triste, chiusa, senza lussi, senza sfoggi di tinte, senza odori e festoni pagani, ma così intima, così familiare, così adatta alla sensibilità delicata, al pensiero dei solitari.
Campagna un po’  monacale e francescana, un po’ aspra, un po’ nera, ove senti lo scheletro di sasso sotto la buccia erbosa, e i grandi monti bruni spopolati si rizzano a un tratto, quasi a minaccia delle valli placide e fruttifere.
Campagna sentimentale della mia fanciullezza; campagna eccitante e morale della mia gioventù, campagna toscana magra ed asciutta, fatta di pietra serena e di pietra forte, di fiori onesti e popolani, di cipressi risoluti, di quercioli e di pruni senza moine, quanto mi è più bella delle campagne famose del sud, colle palme e gli aranci e i fichi d’India e la bianca polvere e il furente sole d’estate” (Un uomo finito).


Vitaliano Brancati

“Toscana: il paese, che scorre ai due lati del treno, sembra conservato in un armadio: appassito dal tempo più che dalla stagione. […] Campagne magre, al confronto di quelle siciliane. I miei amici e conterranei, che sospirano amaramente al pensiero di vivere in paesi e cittadine, si confortino pensando che quanto manca alle nostre città, al paragone di queste, manca a queste campagne al paragone delle nostre.
I campi siciliani sono metropoli vegetali: e questi, paesini. […] In quelle campagne, si vive una vita intensa. 
Qui invece, in questi campi, la vita vegetale esiste senza dubbio, ma al confronto di quella che si svolge in Sicilia, è rada, impacciata, leggermente provinciale come, nella sfera dei rapporti umani, la società dei paesini”.




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