lunedì 8 dicembre 2014

ERA MIO NONNO, ERA MIO PADRE

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Una coincidenza temporale, ma è come se i personaggi tratteggiati ne Le Parrocchie di Regalpetra si sentissero lì costipati e dopo un sonno di oltre cinquant'anni volessero uscir fuori dalle pagine del libro per ridiventare persone e reclamare la propria voce, la propria esistenza, diversa da quella adombrata o ignorata o unidirezionalmente semplificata.

Non più personaggi tra personaggi di carta, dunque, in una acquiescente carrellata letteraria, ma persone ritornate miracolosamente in vita ad animare  i luoghi che erano stati teatro a volte festoso a volte doloroso della loro vicenda umana.

Era accaduto alcuni giorni fa con i figli del bambino baciato da Mussolini alla stazione di cui si racconta nel libro, ora è Eduardo Chiarelli che dice "era mio padre il ragazzo che guidava il padre cieco per riportarlo a casa".

Il ricordo, il ricordare, non è mero esercizio sentimentale ma si rivela venato di nuove consapevolezze e di inaspettate malinconie, e tuttavia per non essere banalizzate o strumentalizzate da allotrie considerazioni, Eduardo le ha fatte precedere da alcune precisazioni epistolari (quello che scrive è così traboccante di sentimento e di voglia di integrare la verità letteraria con la verità storica molto prossima a quella familiare da far diventare documento anche l'ortografia utilizzata da un racalmutese emigrato in Portogallo che, con il dialetto nel cuore, parla e scrive correntemente il portoghese):



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1. Ciao Piero, sono arrivati finalmente dall'America i documenti che stavo aspettando . Inutile dire che nonostante le loro condizioni non siano le migliori, ho appreso con grande emozione molte altre cose che non sapevo su mio Nonno , cosí, insieme a quello che io avendolo conosciuto ricordavo, ai racconti di mia Nonna ancora viva (abita in via regina Elena di fronte alla villa delle palme di cui l'altro giorno hai parlato ) e alle testimonianze di mio Padre e dei miei zii, "M'urdivu quattru palori", quando vuoi ti mando il tutto per dargli un'occhiata. Un abbraccio e buona giornata. Eduardo.

2. Sono contento ti sia piaciuto. Leggendo uno dei fogli potrai constatare, che lui in guerra non avrebbe dovuto andarci, perché aveva giá tre fratelli al fronte, due in Spagna, ad aiutare Franco, ed un altro in Abissinia. Quando puoi vai a vedere su google, la storia della 27divisione fanteria Brescia e del suo annientamento. Infatti essendo uno dei pochissimi superstiti fú aggregato al 20 fanteria.

3. Il mio proposito non é stato quello di farne un eroe o un martire , perché non é stato di certo l'unico ad aver sofferto a quei tempi , ma é pur vero che non possiamo banalizzare il dolore solo perché si é in tanti a sentirlo.

4. Nel caso volessi pubblicarlo, ti prego soltanto di ribadire, al fine di evitare inutili malintesi, che non si tratta di una critica né di un rimprovero nei confronti di Sciascia; per il resto puoi pubblicare anche i documenti, per confermare la veridicitá di quanto ho scritto. Eduardo

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"A LORO NON PESA"
di
 Eduardo Chiarelli.


                                                                                                                           A mio Nonno


"A loro non pesa l'aver fatto di guardia al padre per le taverne, il padre che vomita vino e osceni pensieri.
C´é un ragazzo che questo servizio lo fá anzi ogni sera, il padre é pensionato per infortunio, dopo       l´ave Maria comincia il giro delle taverne.
Crede nell´istruzione il padre. Nell´istruzione e nel vino.
Dice - per me ormai é finita, io della mia vita ormai non ho che il bicchiere, é per il tuo bene che ti trascino a scuola, almeno ti pigli un pezzo di carta e vai a fare il carabiniere."

Questo é uno spezzone tratto dalle “Cronache scolastiche” scritte dal mio Illustre concittadino Leonardo Sciascia, nel periodo in cui insegnó presso la scuola elementare del nostro paese.

Di questo esempio e di altri ancora si é servito lo scrittore, per descrivere la dura e cruda realtá Siciliana, che in quegl´anni che seguirono la guerra, invece di tingersi di speranza come accadeva altrove, continuava piú nera della pece.

Una scena innegabilmente teatrale, anzi cinematografica visto che il noto regista Giuseppe Tornatore, facendola diventare addirittura ilarante, l´há inserita in un suo famoso film.

Si dá il caso, che il bambino era mio Padre e il cieco mio Nonno.

La livella come la chiama Totó, há finito ormai per mettere il grande Scrittore e l´analfabeta sullo stesso piano, e a loro, poco importa ormai quello che sono stati in vita, ma visto che la cosa mi riguarda, ho sentito il dovere di scrivere, come só e come posso, non una critica e nemmeno un rimprovero, ma appena quello che vuol´essere un piccolo tributo a mio Nonno Eduardo, di cui  porto il nome.
Impresa non facile e delicata, perché per poter scrivere su  qualcuno ci si dovrebbe mettere le sue scarpe ( quando ce le ha) e percorrere la sua stessa strada, cosa che in parte ho fatto quando ero bambino, avendogli fatto anch´io da guida.




La 27 Divisione di Fanteria Brescia era stata decimata, e lui unico sopravvissuto di un´intera compagnia di Fucilieri d´assalto aveva insieme ad altri sventurati vagato per giorni nel deserto, per tentar raggiungere la frontiera Tunisina e sfuggire cosí all´esercito del Generale Montgomery.
Scalzo, affamato, logorato dalla stanchezza e dalla dissenteria, era stato costretto a bere  l´acqua dei radiatori dei carri armati che incontrava abbandonati lungo il cammino.
Há! Se avesse saputo, mille volte meglio se si fosse arreso agl´Inglesi , questi gli avrebbero garantito come prigioniero di guerra, se non tutti, almeno una parte dei diritti sanciti dalla convenzione di Ginevra.

Per non parlare poi dei campi di prigionia Americani, dove si diceva, che i prigionieri Italiani erano trattati cosí bene, da suscitare le invidie dei propri soldati Americani di colore.
Invece sopraggiunto l´8 Settembre,  rifiutandosi di combattere al fianco dei Tedeschi ,  fino al giorno prima loro alleati, divenne insieme ad altri commilitoni, loro nemico, anzi peggio. Considerati infidi e traditori  furono declassati da prigionieri di guerra a “ Internati militari” categoria questa, inventata dal proprio Hitler affinché i prigionieri Italiani non godessero di nessun diritto, al punto che nemmeno la croce rossa internazionale , poteva proteggerli. I Tedeschi dunque potevano farne quel che volevano.



Di l´Africa si vidi la Sicilia , cantava quando era ancora a Tripoli, forse con la vana speranza che la giovane sposa “mia Nonna” dall´altra sponda lo udisse.
Dal campo di Prigionia tedesco invece, non cantava piú, Berlino era troppo lontana dal paese. Pativa la fame, e con appena la divisa coloniale addosso anche il  freddo.
Mia Nonna non ricevendo sue notizie, non sapeva se era vivo o morto, cosí era ritornata dalla Mamma, e aveva tinto com foglie di Sorbo i suoi vestiti piú chiari.
Ma era vivo, e il desiderio di riabbracciare la moglie, e di comprare la Moto Guzzi  quando fosse ritornato a casa lo mantenevano in vita.




Finalmente la guerra finí e un bel giorno i Russi, dopo averlo liberato lo lasciarono partire. Era stato prigioniero dal 13 Settembre 1943, al 25 Maggio 1945. Quasi tre mesi duró l´Odissea per raggiungere il paese , facendo la maggior parte del percorso a piedi e di notte , perché nonostante la guerra fosse ormai terminata, era pericoloso andare in giro con la divisa del Regio Esercito e senza documenti. Si rischiava d´esser messi al muro, magari da antifascisti che fino a qualche giorno prima avevano indossato la camicia nera.  

Raccontava aver pagato il pescatore che gli aveva fatto attraversare lo stretto di Messina,  con mezza dozzina di patate, raccolte in un campo qualche giorno prima e che non aveva mangiato nonostante la gran fame, perché sapeva ne avrebbe avuto bisogno , quando sarebbe giunto a Reggio Calabria.
Arrivó in  paese che era ancora giorno, ma aspettó che calasse la notte per uscire allo scoperto e attraversare le poche vie che lo separavano dalla sua casa. Piangeva per l´emozione e per la vergogna d´esser quasi nudo, perché poco o nulla rimaneva ormai della divisa, batté alla porta ma non c´era nessuno, capí e andó in casa della suocera. Non gli aprirono subito perché non lo riconobbero, e come avrebbero potuto , sporco e lacero com´era, magrissimo e con la barba  lunga.

Ancora oggi mia Nonna racconta cosí: aveva appena vent´ottanni, ma pariva lu viecchiu di la pesti!
E cosi dopo molto, troppo tempo, dormí in un letto, con sua moglie.
I giorni che si seguirono li passó pensando, se quegli stracci grigio verde che tra fronte e prigionia si era tenuto addosso per sette lunghi anni, gli davano diritto ad un risarcimento, qualcosa che lo aiutasse a ricominciare una nuova vita, perché tutto quello che avevano dentro la piccola casa presa in affitto, erano appena: il lettone, un tavolo con quattro sedie dù lanceddri e un vacili.

Si recó cosí al Distretto Militare di Agrigento chiese di parlare con qualcuno, e fú ricevuto da un Ufficiale che aveva combattuto in Albânia, questi dopo aver pazientemente ascoltato la sua storia e rimanendo impressionato per via delle quattro campagne di guerra a cui aveva partecipato, guardandolo paternamente gli disse di ringraziare Dio e i Santi d´esser ritornato vivo e intero, e di pensare a tutti quelli che non ce l´avevano fatta, alle decine di migliaia che non erano ritornati dalla Rússia, e a quelli di Cefalonia, passati per le armi dai tedeschi, perché come lui, dopo l´armistizio non avevano piú voluto combattere. Le parole dell´anziano ufficiale, in parte lo delusero, perché vide che la Patria per cui tanto aveva sofferto, non riconosceva il suo sacrificio, ma al contempo gli fece ammettere che in fondo era stato fortunato.

Al ritorno, sul treno incontró dei compaesani, reduci di guerra e disoccupati pure loro, erano andati in cittá per raccogliere mozziconi di sigarette da terra, per farne trinciato e ricavarne qualche “Am lira”, questo lo impressionó.
Lui un mestiere ce l´aveva, con appena sei anni, invece di mandarlo a scuola, gli avevano dato un martello per rompere  pietre di sale.  Sarebbe andato in miniera perché era un “ Pirriaturi” come suo Padre , e suo Nonno.   
E lavorando in miniera passarono cinque anni, in quel período erano nati due figli tra cui mio Padre ed un terzo era in arrivo. Ma “la pirrera” non offriva nessun futuro né a lui né alla sua famiglia, per cui aveva cominciato a sbrigare le carte per raggiungere il fratello Alfonso in Canada.

Era il 6 Settembre del 1950, e come ogni giorno si trovava a lavorare giú in miniera alla  fioca luce di una lampada ad acetilene, era stanco, e per di piú non si era sentito bene in quegl´ultimi giorni, ma ció non aveva importanza, se voleva portare a casa un pezzo di pane, quel giorno doveva caricare con esplosivo tutti i buchi che si era preso a cottimo.
Lavorava velocemente , metteva l´esplosivo nel buco , calcava con un palo di legno poi metteva un tappo, e comprimeva con il palo di ferro, l´ordine era sempre quella, prima quello di legno e poi quello di ferro, non poteva e non doveva sbagliare.
Ma era stanco, la luce troppo debole,  il capomastro  gli faceva fretta, e il sudore che gli scorreva dalla fronte impastandosi con la polvere di sale gli bruciava gli occhi, ma doveva continuare, sennó ne lui né la sua famiglia avrebbero mangiato quella sera.
Con la fretta, invece di afferrare il palo di legno per comprimere l´esplosivo, prese quello di ferro, e questi battendo direttamente sulla polvere nera la fece scoppiare.
L´esplosione lo colpí al petto e al viso, e fú quella fiammata, l´ultima cosa che i suoi occhi videro prima di spegnersi per sempre.



Destino crudele il suo, che aveva affrontato quasi a mani nude i mezzi corazzati inglesi  a Tobruk a El Alamein e a Fuka, era sopravvissuto alle cannonate , e alla dura prigionia in Germania, ma aveva finito per perdere quello che é forse il bene piú prezioso, in tempo di pace, e a pochi passi da casa.

Non avrebbe mai visto né il figlio che sarebbe nato due mesi dopo , e neppure gli altri  che sarebbero nati negl´anni a seguire, non avrebbe mai piú visto niente e nessuno.

Addio Canada e  Addio moto, la” pruvulata”gli aveva tolto tutto, e lui questo non lo avrebbe mai accettato.

L´esplosione non gli fece perdere i sensi, e il dolore provocato dalle ustioni e dalle schegge di sale conficcate nella carne, lo sentí tutto.
I medici dell´ospedale locale si limitarono a fasciargli il viso senza neppure pulirglielo, e ad imbottirlo di morfina.
Molti anni dopo, un oculista, dopo un´accurata visita gli disse che se avessero voluto un occhio almeno gli e lo avrebbero potuto salvare .
Le persone piú anziane ancora oggi raccontano che la notizia si sparse in un baleno e tutto il paese si precipitó all´ospedale,  per verificare che non ci fosse un familiare coinvolto nell´incidente, perché allora non  c´era famiglia che non avesse qualcuno che non lavorasse in miniera.

Accorse anche mia Nonna, piccola disperata e incinta di sette mesi di mio zio Carmelo.
Ma come succede spesso: alla tragedia si aggiunse anche la beffa, mio Nonno non aveva diritto a nulla, perché in quella maledetta miniera, era come se non ci fosse mai stato.

Fú solo dopo una lunga battaglia giuridica che riusci ad avere una piccola pensione d´invaliditá , nel frattempo lui e la sua famiglia avevano vissuto esclusivamente grazie all´aiuto di genitori e  suoceri .
Mi piacerebbe concludere che con il tempo, circondato dalla sposa e da sei Figli che sarebbero stati i suoi occhi si fosse si fosse rassegnato, purtroppo non fú cosí, fino alla sua morte avvenuta nel 1979, fú una persona non facile e tormentata . 

La nascita di un figlio o di un  nipote che sono motivo di felicitá e di allegria nelle famiglie, a lui lo facevano bestemmiare e stramaledire la sorte, perché non poteva vederli.
Ma era capace anche di gesti, come quello che ancora oggi mi piace raccontare ai miei figli, ed é cosí che voglio ricordarlo.

Il giorno in cui mio Padre fece conoscere la fidanzata ai suoi genitori, mio Nonno,  dopo aver chiesto il consenso al futuro consuocero, sfioró delicatamente con la punta delle dita il viso della mia  Mamma, e sorridendo disse: É bella!     

P. S. Quando mio Padre compí quatordici anni, mio Nonno gli compró la Benelli, perché la Moto Guzzi purtroppo era molto piú cara. Aveva in parte realizzato cosí un suo antico sogno.



Questa foto l´ho fatta durante il servizio militare 25 anni fá. Il blindato é uno di quelli che ha combattuto nella campagna d´Africa. Nota la scritta nel basamento che dice: Africa Settentrionale.


10 commenti:

  1. Il Paese natio con i suoi abitanti sono arterie vitali per i ricordi e la memoria . Qui un esempio di cosa possa essere estratto dal sentimento e dalla nostalgia. Continua a ricordare Eduardo ,continua ad archiviare e pensare Piero.

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  2. Grazie per l'incitamento. E' vero, bisogna fare come i rabdomanti: "sentire" l'acqua delle sorgive anche quando a prima vista non si vede, indicarla o farla affiorare e offrirla. Tutti abbiamo sete di qualcosa.

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  3. Ma é una storia bellissima. Certo triste per l´evolversi, un miscuglio di fortune e sfortune che in quell´epoca appartenevano un pó a tutti... povertá, fatiche, sogni e imprecazioni . Come sempre leggendoti sei un pozzo di emozioni. Grazie Eduardo.

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  4. I vostri commenti, sono la conferma, che non tutto é perduto, e che forse vale ancora la pena credere e cercare, quello che metaforicamente Piero chiama " Acqua di sorgiva".

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  5. una storia da brivido, che sembra faccia toccare con mano il passato che fu e che per certi aspetti ritorna sempre a contraddistinguerci, una storia che fa anche molta rabbia ed al tempo stesso tenerezza, raccontata in maniera, scorrevole ed egregia da chi quello che scrive ce lo ha impresso nel cuore prima che sul foglio... grazie Eduardo...

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  6. La memoria è la prova della nostra esistenza.
    Tu, Eduardo, riesci a trasmettere, con i tuoi ricordi, l'amore e la passione per la storia dei luoghi e delle persone che fanno parte del nostro stesso essere.
    Grazie.

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  7. Una scoperta Edoardo .... sono rimasto a bocca aperta e in parte per tanti versi ho ripercorso la strada di mia papà classe 1917 e delle sue peripezie dalla leva del 1938 al rimpatrio dopo Russia e Germania del fine 1945 ... con tutte le perizie simili e la stessa triste dolcezza dei tuoi ricordi... Non lo colse la "mina" ma Halzaimer gli ha regalato ulteriori 6/7 anni di calvario sino alla morte 20 anni dopo tuo padre... Grazie di cuore Edoardo

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  8. Bellissimo racconto di vita vera triste e piena di miseria .
    Ti ammiro Edoardo le tue ricerche sono minuziose proprie di una persona ricca di sensibilità .
    Una ricerca delle tue radici
    Ciao caro Edoardo sei un Ragazzo speciale.

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  9. Che dire mi e' sembrato di tornare a leggere pagine piene di verismo e di incrollabile fede e maledizione tipiche se non uniche della nostra terra. Ingiusta la sorte di tuo nonno.....quattro campagne e la prigionia illeso e perdere la vista così giovane lavorando sotto il peso di quell ingiustizia sociale tanto drammatica e presente in quegli anni cosi tormentati .....

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  10. storia toccante , scrivi con un grande rispetto su due generazioni passate, e ne puoi andar fiero dei tuoi avi , e questo rispetto che tu ai verso di loro sara un grande esempio x i tuoi figli , ti ringrazio Dino

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