domenica 24 agosto 2014

QUANDO IL PD NON SA "PERDERE"

Per il bene del paese (se queste parole hanno un senso, validità del senso a parte), e non so più se riferibili a quello con la p maiuscola o con la p minuscola o ad entrambi,  non vorrei che i timori di prima delle elezioni si abbattessero sulla gestione dei fatti e delle istituzioni o culturali o economiche o giudiziarie (a seconda della maiuscola o della minuscola),  ad elezioni avvenute, con operazioni postume di ragioneria compensativa. La tempistica di certe nomine lascia adito a tali ipotesi.

Il Pd infatti ha vinto per l'ennesima volta e con alleanze in linea con il governo di "bontà" nazionale ovvero in simposio con quelli da cui avrebbe dovuto segnare le differenze e, se le differenze hanno un senso, anche le distanze. Certi abbracci preelettorali potrebbero risultare incastri, non solo abbracci politici con la politica ma anche con chi di mestiere fa un'altra cosa.

Paventando futuri scenari e antichi timori, sperando tuttavia di non avere ragione postuma come Cassandra, così scrivevo in una nota su fb l'undici marzo 2014, oltre due mesi prima delle elezioni amministrative.










Nota fb - 11 marzo 2014


Il Pd per vincere, deve saper perdere.

Fin'ora il PD ha perso (in credibilità) perché ha sempre vinto, ha sempre scelto la parte vincente, pur di stare al potere, nonostante le riserve iniziali ogni volta lo abbiamo ritrovato cuccuegghiè e comuegghiè, fino a identificarsi con una "piccola" logica aritmetica (un assessore? no, due; due assessori? no, tre). * 


Invece, in nome anche della sua storia e della sua robustezza culturale, del suo impeto ed empito governativo, sarebbe ora che scegliesse finalmente di "perdere", per recuperare credibilità ovvero sarebbe ora di non temporeggiare e di presentare una sua linea, un suo programma, un suo candidato, e mettere gli altri in situazione di dovere scegliere.

Se dovesse vincere in questo modo sarebbe vera vittoria, per se stesso come partito vero e rinnovato, e per il paese, perché darebbe un esempio di chiarezza, di coerenza, di distacco dal potere per il potere. Se dimostrasse questo, vincerebbe in ogni caso, anche se dovesse numericamente perdere.

E' il caso di citare il Vangelo quando lancia il dilemmatico interrogativo "a che serve conquistare il mondo se uno perde la propria anima"?





*Integrazione di oggi alla Nota di allora.
Oppure, nel tentativo di preservarsi una certa innocenza per il futuro, contemporaneamente faceva affiggere in Piazza grandi manifesti con richiesta di dimissioni altrui ma non ritirava i propri assessori che anzi aumentavano di numero. Altro  che morale gesuitica! Eccetto che non fosse una strategia hegeliano-marxista sostenendo contemporaneamente la tesi e l'antitesi! Ma se la sintesi era un assessorato in più, la logica non regge, forse forse l'aritmetica.

    







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