martedì 7 maggio 2013

IL FAMOSO CASO DI SCIACCA SCRITTO E RISCRITTO






Quando Dino Catagnano, su suggerimento, come seppi dopo,  di Ignazio Navarra, mi propose di presentare   Lu Casu di Sciacca di Lorenzo Raso, ho accettato con prudente ritrosia perché mi era familiare la notizia del “caso” ma solo indirettamente e perciò ho preso tempo per approfondirne la conoscenza e colmare una lacuna che avrei voluto colmare da troppo tempo.

Appresi del caso di Sciacca la prima volta, studiando le origini del mio paese. Parlando di Giovanni III del Carretto, figlio di Ercole,   così scrive Nicolò Tinebra Martorana nel suo libro Racalmuto. Memorie e tradizioni:

“Questo barone  visse assai lungo tempo a Racalmuto. E’ celebre nella storia di Sicilia, per avere preso parte non poca nel famoso caso occorso fra suo zio Paolo del Carretto ed i Barresi di Castronovo, che, dopo quello di Sciacca, è uno dei più sanguinosi.”



A monte del “caso” ci stanno un’offesa, uno schiaffo e un agguato presso una chiesa.
Se si aggiunge la circostanza che Pietro Perollo, uno dei due protagonisti del cosiddetto primo Caso di Sciacca, ha sposato Francesca del Carretto, la familiarità con le vicende saccensi per un racalmutese è intrinseca e scontata.  
E qui si potrebbero fare naturalmente parecchie digressioni. 

Mi limito a segnalare, del Savasta, il Trattato secondo in cui si accenna la cronologia di quelle nobili famiglie, che si ritrovarono in Sciacca nel tempo di questo caso,  dove ben cinque pagine della trascrizione dattiloscritta sono dedicate alla Famiglia Carretti o del Carretto.

Ma trascendendo il localistico aggancio storico, una riflessione ho maturato e che voglio qui riproporre.



Il caso di Sciacca non esisterebbe se la letteratura non se ne fosse occupata, se i cantastorie non l’avessero cantato e divulgato fino a diventare anonima locuzione, un modo di dire (l’annittaru a Pirollu!), se non fosse diventato popolare cadenza, filosofico rammarico:
Casu di Sciacca, spina di stu cori
di quantu larmi m’ha fattu ettari!
Iddi si lazzarianu comu cani
di Sciacca ‘un ni rimasi ca lu nomu.

Anche Internet contribuisce a rendere noto un fatto che tanti probabilmente ignorerebbero del tutto.

 A riprova della suddetta affermazione, poniamo in controprova una domanda: al di fuori di una ristretta cerchia di studiosi, chi sa della “spietata (…)  discordia fra i Siscari e i Moleti in Messina, fra i Guerrera e i Paternò a Catania, fra i Sanclementi e i Fardella a Trapani, fra i Naselli e i Montaperti ad Agrigento, fra i Bonanno e i Gravina a Caltagirone”?  (A. Scaturro, Il Caso di Sciacca, Scuola Tip. “Boccone del Povero”, Palermo 1951).

Eppure, come sostiene sempre lo Scaturro, “molte città dell’Isola furono teatro di sanguinose lotte che spesso, sotto l’apparenza politica nascondevano l’animosità di famiglie potenti”.

Anche per Raso
Li guerri fratricidi nun si cuntaru;
ogni citati àppi  la so storia.


 Immaginate se invece queste storie, questi casi fossero stati assunti e “de-formati” in qualche racconto di Borges?
Per allargare lo sguardo, chi saprebbe la storia del Carro di Nimes se non fosse stata divulgata e scritta nel 1200 un’apposita chanson appartenente al “Cycle” de Guillaume d’Orange e riguardante fatti di quattro secoli prima?

E il caso di Sciacca?
Il corpus  dei fatti c’era già, in latino e in volgare, c’erano i documenti. Basta consultare il relativamente recente libro di Pio Lo Bue del 1993.
Raso lo sa:
Scaturru, Ciacciu a autri ancora,
ogni sforzu a tia lu dedicaru;
genti di saggizza e di cultura,
chi li misteri toi tutti studiaru.

Pertanto il suo intento non è quello di gareggiare con gli storici o di contrapporre documenti a documenti, ma molto più semplicemente di riscrivere i fatti in siciliano.
Non penso che la sua opera porti con sé novità di documenti inediti o originali, anche se condotta, come ha scritto mons. Dimino, “alla luce dei documenti e delle tradizioni popolari”; essa ricalca quanto assodato dalla storia, meglio: dagli storici, dalla tradizione.


Eppure, una novità quest’opera la porta: se stessa.
 L’autore del resto declina ogni responsabilità ermeneutica e dichiara: 
cu avia raggiuni lu dirà la storia.
Il poeta,  sebbene definisca storiografico il proprio Poemetto, non si deve giustificare, anzi, può permettersi delle libertà che lo storico non può.

Se, pertanto, non è la fondatezza documentale, qual è allora la specificità del libro di Raso, visto che i fatti del caso di Sciacca non sono invenzione personale e appartengono a tutti?



Il caso di Sciacca ricalca universali strutture e movenze dei fatti epici.
Come nell’Iliade, ad esempio, troviamo che  in principio la causa di tutto è una donna. Salvo poi scoprire che dietro evidenti, semplici ragioni, ci stanno altre e più complesse ragioni; dietro i singoli personaggi ci stanno popoli o fazioni di un popolo diviso e contrapposto.

 Ma l’aspetto più importante è che, al di là delle divisioni rappresentate, nella diversità dei ruoli e della collocazione, tutti si riconoscono nel racconto epico: tutti gli attori coinvolti acquisiscono e rafforzano la loro identità: chi ascolta, chi legge. Chi scrive.











Quadri di Renzo Collura.

1 commento:

  1. Ieri, sabato 18 gennaio 2014, sono stato a visitare Palazzo Mirto a Palermo. Nella fornitissima libreria c'era anche Il famoso caso di Sciacca del Savasta.

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