venerdì 9 novembre 2012

PIÙ FORTE DEI MITRA



Quando, una diecina d’anni fa, la mia amica Pina Provino di Bagheria mi regalò una Guida insolita ai misteri, ai segreti, alle leggende e alle curiosità della Sicilia di Santi Correnti, dove si riportavano insolite scoperte o riscoperte dei singoli comuni delle nove province siciliane,  non immaginavo minimamente che tra le curiosità  ne avrei trovata una particolarmente curiosa di Racalmuto. Curiosa in sé, come vedremo, e curiosa nel senso che già me n’ero occupato sul settimanale diocesano di Agrigento oltre dieci anni prima.


Il vulcanico studioso catanese aveva in precedenza lambito, con le sue argomentazioni, il lontano comune minerario dell’agrigentino, attraverso una scintillante e decennale polemica col suo più illustre rappresentante, accusandolo di non  avere “tralasciato di dire peste e corna della Sicilia”. Non mi aspettavo che qualche favilla di quel polemico atteggiamento l’avrei trovata anche in questo libro apparentemente più rilassante.  E invece. In cauda venenum.

 Dopo avere tratteggiato la figura e la vicenda della “nobilissima figura di un’autentica eroina del nostro tempo”, depone, in fondo, una velenosissima domanda: “Come mai Leonardo Sciascia, racalmutese, che nel suo libro La Sicilia come metafora  (Milano 1979, p. 74) ha scritto ingiustamente che “tutte le donne di Sicilia sono un elemento negativo della società insulare”, non ha sentito il bisogno di fare un’eccezione per questa straordinaria figura di donna siciliana, sua concittadina?

Non sapevo quando io me ne sono occupato di prevenire, e forse alimentare, futuri interrogativi.







SUOR CECILIA BASAROCCO

In paese pochi la conoscono, pochissimi ne hanno sentito parlare, se cercate su Google la trovate associata all’ospedale di un paese del nisseno. Eppure è nostra concittadina, appartenente ad una speciale genia di racalmutesi. Già! Racalmuto, prima ancora che di altre categorie più remunerative a parlarne e a scriverne, è terra di eretici e di santi. Ma, al di là delle categorie e dei giudizi religiosi, vogliamo ricordare una figura straordinaria per indurci a riflettere che la vita non solo privata ma anche pubblica ha il senso che noi le diamo; che vogliamo darle, nonostante tutto.


              Nata a Racalmuto il 7 novembre 1914 da genitori di modeste condizioni economiche, condizioni che con i nostri parametri di oggi definiremmo povertà ma allora erano condizioni diffuse di dignitosa sopravvivenza,  suor Cecilia, al secolo Angela Basarocco, crebbe nel clima tipicamente e mediamente religioso dei nostri piccoli centri agricoli. 

Fin da ragazza manifestò una particolare sensibilità per le pratiche religiose e disponibilità ad aiutare il prossimo: “segni” evidenti di una autentica vocazione religiosa. Fu accolta come probanda nella Congregazione delle Suore della Sacra Famiglia di Spoleto, fondata da Don Pietro Bonilli. Senza eccessivi ripensamenti, emise i voti definitivi alla fresca età di ventun anni.


                  In sintonia con le finalità della Congregazione, spese tutta la sua esistenza nell’Ospedale di Niscemi dove svolse il suo ministero di consacrata. Attività che letteralmente la consumò. A Niscemi ancora oggi dire suor Cecilia è come dire “Ospedale”. La sua vita si identifica con l’Ospedale in tutte le varie fasi che la struttura ospedaliera ha attraversato: dall’Ospedale-infermeria privo di ogni basilare servizio a quello odierno efficiente e spazioso, dal ricorso alle fontanelle per il rifornimento idrico alla gestione di macchinari sofisticatissimi.  Oltre cinquant’anni di presenza assidua e ininterrotta, fatta di fedeltà e fatica quotidiana, l’hanno resa un simbolo. Episodi di fede e di coraggio alimentano la sua leggenda.







                  L’episodio di coraggio. Siamo nel 1943. Sbarcati gli americani a Gela, alcuni soldati tedeschi trovano rifugio nell’Ospedale di Niscemi: qui suor Cecilia era rimasta sola a soccorrere tanti feriti militari e civili, fra i pericoli delle incursioni aeree. Tutti gli altri erano fuggiti tentando di mettersi al sicuro. Scoperti dai soldati americani, i tedeschi divennero mira dei loro fucili mitragliatori, destinati a immediata carneficina. Suor Cecilia, che era un donnone, irruppe senza pensarci due volte e col suo corpo fece scudo ai tedeschi, gridando in faccia ai soldati che tenevano i mitra spianati: “Non è possibile! Non è giusto!”. Nessuno comprese  le parole, ma gli anglo-americani avvertirono la forza morale di quel gesto, e rinunziarono all’impresa.

                  L’episodio di fede. Risale alle circostanze della sua morte: epilogo luminoso di tutte le sue virtù. Qualche mese avanti l’anniversario del cinquantenario di professione religiosa, il corrispettivo delle “nozze d’oro” per le persone sposate, si manifestarono in suor Cecilia le avvisaglie di un male incurabile. Nonostante ciò, si celebrò la lieta ricorrenza il 25 marzo 1985. Suor Cecilia, dissimulando la mortale angoscia, offrì all’altare un vassoio con i “ferri” a lei tanto familiari. Il giorno successivo, col riserbo che le era proprio, in gran segreto si sottopose all’intervento chirurgico. Fu operata proprio con gli stessi ferri che aveva offerti il giorno avanti durante la messa, nella stessa sala dove aveva assistito centinaia di pazienti. Volle apparecchiare la sala operatoria con le sue stesse mani.
                  Morirà poco più di un anno dopo, il 20 ottobre 1986.







                  Di questa suora, che si vedeva poco nel suo paese d’origine, che ha voluto essere seppellita nella “sua” Niscemi, si può dire ciò che è stato scritto sugli ultimi momenti di vita di San Giuseppe Calasanzio: “Non mai si vide Giuseppe tanto giulivo, e contento, che in quest’ultima infermità, che dovea rompere i lacci della sua spoglia. Non sapea saziarsi di parlar sempre di Dio, e della gloria del paradiso”.

La suggestiva citazione ricade nello stile agiografico, è vero, ma in tempi così poco propensi all’agiografia  classica ci è parso opportuno rievocare un inedito personaggio sicuramente “positivo” attraverso alcuni fatti per meditarci su, consapevoli che a ben altre “agiografie” ci hanno  abituato o vorrebbero abituarci opportunisti pennivendoli e uomini di spettacolo.

Ma anche per un paventato timore abbiamo voluto ricordare suor Cecilia Basarocco: non vorremmo che  in tempi di ristrettezze economiche e “razionalizzazione della spesa”, il dimensionamento o la cancellazione delle piccole strutture ospedaliere cancellasse l’ospedale di Niscemi polo d’eccellenza e la memoria di suor Cecilia a cui esso è intestato.  Come è avvenuto già da tanto per l’ospedale di Racalmuto e del suo fondatore Ferdinando Martino.




Parzialmente questo post è stato pubblicato e commentato su:

1 commento:

  1. Carissimo Piero
    la tua prosa è fulgida, il pensiero limpido. Complimenti. A dire il vero ignoravo che ti eri occupato anche della monaca Basarocco. Ne appresi qualcosa in un testo che doveva essere persino scolastico di Santi Correnti. A me Santi Correnti mi è particolarente caro, anche per qualche affinità culturale. Debbo però soggiungere che certe sue polemiche oltre il limite avverso Leonardo Sciascia hanno affievolito la mia simpatia. Inimicus Plato sed magis mendacium vorrei latineggiare. Non ci azzecca niente quel becero rampognare contro un inesistente maschilismo scasciano quando si trattava del deletario matriarcato siciliano (vero verissimo crudele). Così mi è apparsa stucchevole quel'altra polemica contro il presunto padrinaggio di Sciascia nei conti di Denis Mack Smith. Comunque cercai dati negli archivi della matrice e qualcisa sui Basarocco trovai, Poca cosa ma significativa per appurare che non si trattava di racalmutesi di lunga data. E poi tutto questo eroismo mi sapeva di favola del giorno dopo. Come vedi non sempre siamo d'accordo .. ma se tu non mi rinnovi l' "amicizia" fbeistica che taluni mariuoli locali sono riusciti a tranciare per sette giorni non potremo per il momento litigare in santa pace, ma civilmente come è nostro costume.
    Calogero Taverna

    RispondiElimina