martedì 9 ottobre 2012

IL MITO DI PARIGI



Modica, 2012


"Andare a Parigi era a quell’epoca, ed è stato sempre, come darsi a un mestiere, a una professione o a un corso di studi. Vivere in quella gran città voleva dire imparare, capire il mondo, fiutare il vento. L’avervi passato qualche anno e magari soltanto qualche mese, poteva dare gloria per tutta la vita anche a un tipo qualunque, solo che avesse saputo raccontare le sue gesta, immancabili, perché nessuno poteva vivere a Parigi senza capitare dentro casi e vicende degne di venir raccontate".



2012




Così scriveva lo scrittore di origini siciliane Piero Chiara nel romanzo Il cappotto di astrakan del 1978.
E sappiamo cosa ha rappresentato  Parigi per tanti artisti e letterati: superare il test parigino significava ottenere il lasciapassare per un probabile accesso alla storia.
Storia di artisti, s’intende, ma del calibro di Picasso e Modigliani.
E ciò valeva anche per tanti francesi che per sprovincializzarsi si recavano  da est e da ovest da nord e da sud nella capitale, che non era soltanto una capitale politica. Era un laboratorio per reinventare il mondo e i rapporti sociali. Era una capitale morale. Estetica. Di pensiero. Di libertà. Di fantasia. D’azzardo e quindi di fame, ma anche di gloria. La gloria! Il prestigio del nome conseguito, consacrato, riconosciuto. Il successo, insomma.
Ma lo è ancora oggi?
O la Parigi storica è piuttosto una metafora, mentre il sovramondo di Internet è la nuova Parigi operativa? Con una diversa anima, ovviamente, ammesso che ce l'abbia.



Bello sarebbe a questo mondo poter acquistare il virtuale senza perdere il reale. E viaggiare…
                                                                                                                           P. C.



2012




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