sabato 28 novembre 2015

"COSA È POESIA?". A MARINEO PER SAPERE LA RISPOSTA. Ma Francesco Virga ci dice che...






Quasi in ideale gemellaggio per molteplici sintonie,  con piacere accolgo e replico la notizia  dell'iniziativa "poetica" riportata dall'interessantissimo blog http://cesim-marineo.blogspot.it/ animato da Francesco Virga.


Oggi, Simposio al Castello di Marineo, quella che segue è l'Introduzione all'istant book che raccoglie i versi di alcuni poeti della provincia di Palermo che hanno aderito all'iniziativa. Distribuzione gratuita a tutti i partecipanti al Convegno insieme a dolci e vini tipici del territorio.




Fonte: 

COSA È POESIA?

di

Francesco Virga
Da tempo la vita mi ha insegnato
che musica e poesia
sono al mondo le cose più belle
che la vita può darci.
Oltre all’amore, ovviamente.
J. Seifert

«Sono venuto qui non a tenere una conferenza su temi studiati e preparati, ma a conversare con voi di ciò che nessuno mi ha insegnato, di ciò che è sostanza e magia, di poesia». Sono parole di Federico García Lorca queste, non mie, ma le condivido pienamente perché indicano il fondo misterioso, magico, che accompagna ogni poesia; parole che aiutano a comprendere la ragione per cui anche i più grandi critici finiscono  sempre per balbettare quando parlano di poesia.
Cos’è poesia? Cosa autorizza a definire poetico un testo? Sulla questione esistono pareri diversi e bibliografie infinite. A me sembra ancora valido quanto scrisse nel 1945 Franco Fortini sul Politecnico di Elio Vittorini:

Un poeta è un uomo che fra le cose, gli uomini, la loro storia e la lingua, intuisce rapporti diversi da quelli che altri vi leggono di consueto; rapporti di sentimento e di fantasia che egli esprime in modo da indurre altri a comprenderne la bellezza, vale a dire, la verità. 
Scrivere poesie è un modo difficile e severo, come quello dello scienziato, dell’economista o dello storico, di comprendere e di spiegare il mondo; e poeti sono quelli che si avventurano fuori dalle strade che tutti credono di conoscere, per esplorarne altre, o scorgono nelle vie di tutti una verità ed una bellezza importante, dimenticata o non vista mai. 
Essi, per esprimersi, adoperano delle parole, una lingua; che è talora quella della madre loro, della loro strada o del loro popolo; o che spesso è antica e consunta come una pietra levigata. 
Ma nella poesia, quelle parole, che ciascuno poteva comprendere, non sembrano più essere le solite; qualcosa le ha trasformate e fatte come nuove. (Poesia è libertà)

Il saggio di Fortini meriterebbe di essere ristampato integralmente. Quanto vere ed attuali siano queste parole è confermato ampiamente da tutta la poesia di ieri e di oggi. Per tutte basta citarne una:

C’è chi meglio degli altri realizza la sua vita.
È tutto in ordine dentro e attorno a lui.
Per ogni cosa ha metodi e risposte.
È lesto a indovinare il chi il come il dove
e a quale scopo.
Appone il timbro a verità assolute,
getta i fatti superflui nel tritadocumenti,
e le persone ignote
dentro appositi schedari.
Pensa quel tanto che serve,
non un attimo in più,
perché dietro quell’attimo sta in agguato il dubbio.
E quando è licenziato dalla vita,
lascia la postazione
dalla porta prescritta.
A volte un po’ lo invidio
– per fortuna mi passa
(W. Szymborska, La gioia di scrivere. Tutte le poesie, Milano: Adelphi, 2009)

Questi versi sono stati scritti, col suo inconfondibile stile sobrio e ironico, dalla poetessa polacca Wislawa Szymborska, premio Nobel per la letteratura nel 1996. La Szymborska, come tutti i grandi poeti, è piena di dubbi e priva di certezze assolute, così come è attenta ai dettagli, alle piccole cose di cui è fatta la vita. Ogni poeta sa che chi calpesta un fiore oggi, domani calpesterà, con la stessa indifferenza, un uomo. La Szymborska sa che «la verità è un mare di fili d’erba che si piegano al vento; vuol essere sentita come movimento, assorbita come respiro. È una roccia solo per chi non la sente e non la respira; quegli vi sbatterà sanguinosamente la testa.» (E. Canetti)

Ma oggi a cosa serve la poesia? A questa brutale domanda sarei tentato di rispondere, in prima battuta, che non serve a nulla! Non serve e non può servire a nulla dal momento che, per sua natura, non è servile e non può essere utilizzata per fini a lei esterni. Questo spiega la ragione per cui in una società, come quella odierna, che ha un rapporto utilitaristico con le cose e le persone, la poesia non è tenuta in grande considerazione.


Poesia è, come notava Fortini, in primo luogo libertà. Libertà e disobbedienza di fronte a ogni forma di potere,  di fronte a ogni forma di irreggimentazione e massificazione. La società in cui viviamo minaccia, con sempre maggior pesantezza, i più elementari diritti del singolo, minaccia la distruzione totale della persona per ridurre gli individui a “una somma di consumatori” ai quali – nell’imperante mercificazione anche di quelle che una volta venivano considerate aspirazioni spirituali – si vorrebbero imporre bisogni artificialmente indotti.
Il poeta è il più deciso oppositore, per sua propria natura, di tale sistema. Il più strenuo difensore della singolarità, rifiutando d’istinto ogni slogan o parola d’ordine. Per questo il sistema lo avversa, sia ignorandolo o fingendo di ignorarlo, sia cercando di minimizzarne la figura con l’arma della sufficienza o dell’ironia. Ma i veri  poeti non si arrendono e non si piegheranno mai agli ordini dei potenti. Essi, infatti, sanno che:«Linguaggio dell'utilità è il potere; linguaggio della meraviglia è la poesia.» ( A. J. Heschel)
Uno dei pochi rimpianti che conservo dell’antica messa cantata in latino è legato al ricordo di due versi poetici del Magnificatche ho sentito cantare anche nella chiesa del mio piccolo paese: 

Deposuit potentes de sede et exaltavit humiles
(Depose i potenti dai troni e innalzò gli umili)

Sì, c’era tanta poesia in questi versi! E, non a caso, la povera gente che non aveva studiato il latino si riconosceva in quelle parole, perché oltre ad essere scritte in un latino facilmente comprensibile, intuiva la verità profonda che contenevano e la loro forza oppositiva. Ecco perché un ebreo che la sapeva lunga, dimenticato da tanti oggi, definiva la religione «il cuore di un mondo senza cuore, lo spirito di un mondo privo di spirito» (K. Marx). E, forse, anche per questo i preti d’oggi non li cantano più quei versi!
Ma bisogna riconoscere che, accanto alla grande poesia, è proliferata in ogni tempo anche tanta poesia mediocre, aulica e cortigiana. Contro quest’ultima è stato scritto:

Il mondo della poesia è un mondo fittizio e falso, la poesia non mi piace per la stessa ragione per cui non mi piace lo zucchero puro. Lo zucchero è gradevole se preso insieme al caffè […]. È l’eccesso ciò che stanca della poesia, eccesso di parole, eccesso di metafore, eccesso di nobiltà. (W. Gombrowics, Contro i poeti )

In effetti tanti poeti studiati a scuola meritano questa critica. Basti pensare ai Monti, ai Carducci, ai D’Annunzio. Contro quest’ultimo si levò alta la voce di Luigi Pirandello, bollandolo quale vuoto «scrittore di parole».
Nel consumo spaventoso e terrificante di parole e di immagini che si fa oggi nel contesto di un bla bla universale, in questa colluvie di chiacchiere inutili dove la parola è esposta come puro rumore, la grande poesia col suo suono incantatorio e col suo buio aiuta, come la notte, a lavare la mente e portare una luce.
Buio sì, il mistero e la magia, di cui parlava il poeta andaluso, scaturiscono anche dal buio che contrassegna la vera poesia. E Pier Paolo Pasolini, meglio di altri, ha saputo cogliere questo buio:

Alle volte è dentro di noi qualcosa
– che tu sai bene, perché è la poesia –
qualcosa di buio in cui si fa luminosa la vita: un pianto interno,
una nostalgia gonfia di asciutte, pure lacrime.
(P. P. Pasolini, Tutte le poesie, Milano: Mondadori, 2003)

Marineo, novembre 2015                                                                         Francesco Virga



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