giovedì 6 febbraio 2014

DI RACALMUTO SI È PARLATO IN PORTOGALLO. PURTROPPO...


"Purtroppo" non perché si sia parlato di Racalmuto in Portogallo ma per il motivo per cui se ne è parlato e per gli annessi rammarichi storici.  Uno di quei classici casi in cui si perde un appuntamento con la storia, e tutto cambia inesorabilmente.




Si sa quali danni ha prodotto la fillossera sulle viti e quindi sull'economia italiana ed europea. Anche su quella siciliana. Ma si sarebbero evitati in gran parte se si fosse scoperta in tempo. In Sicilia l'hanno certificata soltanto nel 1880. 

Ma era stata segnalata ben nove anno prima o forse più a Racalmuto e se le autorità competenti avessero fatto adeguate ispezioni forse si sarebbe corso ai ripari in tempo ed evitato disastri, fallimenti, disoccupazione ed emigrazione di migliaia e migliaia di siciliani, e non solo siciliani. 
La storia sarebbe stata diversa, e sicuramente migliore. Se... 

Di questo mancato appuntamento con la storia ne ha parlato lo studioso Rosario Lentini in Portogallo qualche anno fa. 








ROSARIO LENTINI
GENESI E SVILUPPO DELLA FILLOSSERA
(Phylloxera vastatrix) NELLA SICILIA DELL’800


IN GENERALE

L’arrivo della fillossera[1] in Europa, nella seconda metà dell’800, segnò una svolta epocale nella storia della viticoltura del continente ed ebbe, come ampiamente documentato da una vasta pubblicistica sull’argomento, ripercussioni gravi e profonde non solo in campo agronomico ma – “trasversalmente” – anche in diversi settori dell’economia, a danno di larghi strati della popolazione rurale. L’avanzata implacabile dell’afide mise in evidenza l’erroneità delle ipotesi iniziali della comunità scientifica sulla biologia del parassita e l’impotenza dei rimedi per sconfiggerlo.[2] Nel Mezzogiorno d’Italia, lo sviluppo della viticoltura era stato più intenso che nel resto del Paese, specialmente tra il 1878 e il 1887, per effetto della forte richiesta di vino da taglio nel mercato francese, che stava ancora risentendo del crollo della propria produzione enologica provocato dalla Ph. nei vigneti di quei territori.

La terribile infestazione portò miseria nelle campagne, rovinò proprietari, viticultori e contadini, impegnò il governo nell’adozione di provvedimenti di legge e nell’emanazione di circolari ministeriali, nel vano tentativo di arginare i danni, e impose, infine, l’avvio di una costosa opera di ricostituzione integrale dei vigneti durata diversi decenni.


Fu individuata dapprima in Inghilterra, intorno al 1863-64,[3] mentre ancora, dalla metà degli anni Cinquanta, infieriva l’Oidio.[4] Era noto che nel nord America «esistevano vitigni di diversa specie, vigorosissimi, resistentissimi alle malattie crittogamiche, e cominciò allora la importazione di quei ceppi americani in Europa [...], senonché – scriveva il Grandori – dopo breve tempo si dovette constatare che per rimediare ad un male [l’Oidio] che si addimostrò più tardi facilmente curabile con rimedi chimici, si era portato in casa un altro male infinitamente peggiore ed incurabile, cioè la fillossera».[5] E così, mentre nei vigneti americani l’insetto risultava innocuo, giunto in Europa divenne un vorace roditore delle radici della pianta.

Il governo nazionale, quindi, consapevole di quanto si era già verificato in Inghilterra e, in sequenza cronologica, in Francia, in Portogallo, in Svizzera e in Germania,[6] dal 1872 in poi, emanò diversi provvedimenti legislativi volti a promuovere un sistema di vigilanza e una campagna informativa per scongiurare l’avanzata dell’insetto. Tuttavia, solo dopo la scoperta del primo caso di Ph. in Italia, il Ministero di Agricoltura, con decreti dell’11 e del 13 settembre 1879, istituiva la “Commissione Consultiva per i provvedimenti contro la diffusione della Fillossera”, composta da esponenti di diverse discipline della comunità scientifica.




[1] In seguito, per brevità, solo Ph.
[2] Anonimo, (1868), p. 725.
[3] Targioni Tozzetti, (1875), p. 266.
[4] La presenza dell’Oidio è segnalata per la prima volta in Inghilterra nel 1845 e in Italia già nel 1851: Scaramuzzi, (1997), p. XXIX.
[5] Grandori, (1914), pp. 5-6; Targioni Tozzetti, (1875), p. 271.
[6] Unwin, (1993), pp. 286-99; Piqueras, (2002), pp. 951-72; Vieira, (2003), pp. 130-37; Ocete, (2004), pp. 747-61; Pereira, (2006), pp. 151-61.

IN SICILIA

In realtà, la notizia di una possibile infestazione in Sicilia, a Riesi, nel vigneto di proprietà del viticultore Giovanni Calamita, in contrada Due palmenti, era pervenuta al ministero già nel mese di maggio del 1879, ma il sopralluogo compiuto dal direttore della Stazione agraria di Palermo, Ippolito Macagno, non era valso a confermare la presenza della Ph., nonostante il vistoso deperimento delle viti rilevato. Trascorsero altri dieci mesi e «il due marzo 1880, il Calamita, vedendo continuare la moria delle viti, ne fece esaminare dallo stesso Dr. Macagno le radici, e questa volta si ebbe, purtroppo, a constatare la presenza della fillossera».[1]




[1] Paolino-Pistone, (1888), p. 220.

A RACALMUTO

Nei primi giorni del mese di giugno del 1871, il sindaco notaio di Racalmuto, piccolo paese agricolo della provincia di Girgenti (Agrigento), in risposta ad una lettera del Comizio agrario di quel Circondario, segnalava allarmato quanto segue:

«Sei mesi or sono, mi ebbi la fortuna leggere un libro di viticoltura intitolato le veglie del Sig. Lorenzo scritto da Felice Canelli. Ivi trovai descritta la terribile malattia sotto il nome di Filossera devastatrice. Dalle chiare descrizioni dell’autore e dall’esame fatto risulta che la malattia è effettivamente la filossera e che è la più scoraggiante di ogni altra».[1]


Nella stessa lettera, il sindaco riferiva di essere a conoscenza del fatto che già da alcuni anni erano state aggredite vigne di un altro proprietario della zona. É improbabile che egli stesse confondendo il parassita della fillossera con  «l’esilissimo insetto» individuato dal viticultore Stoppani nelle campagne di Catania sin dal 1868, che si diffuse progressivamente fino alla metà degli anni Settanta in diverse zone della Sicilia, proprio per quanto asserito nella sua stessa lettera.[2] Il possesso e la lettura della monografia del Garelli, pubblicata a Torino nel 1870, nelle cui pagine si dava una descrizione dell’insetto e dei danni arrecati alla vite effettivamente molto dettagliata, consentivano al primo amministratore di Racalmuto, nonché notaio e viticultore moderno e aggiornato, di essere potenzialmente molto attendibile. E, ad ogni modo, anche non tenendo conto della retrodatazione riguardante viti non direttamente esaminate dal sindaco-viticultore, non si può sottovalutare il valore della sua testimonianza risalente al 1871, riguardante il proprio vigneto.

Fino al 1888, secondo le fonti ufficiali del ministero, gli unici comuni fillosserati della provincia di Girgenti erano Campobello di Licata e Ravanusa nei cui territori, però, si concentrarono le più attente e ripetute esplorazioni dei delegati fillosserici[3] e non risulta che siano state eseguite analoghe ispezioni nelle vigne di Racalmuto.



[1] Carbone, (2006), pp. 37-39; nella minuta della lettera, involontariamente, il sindaco di Racalmuto ha alterato il cognome dell’autore da Felice Garelli a Felice Canelli. Si tratta in realtà del Garelli autore di La coltivazione della vite in Italia. Veglie del signor Lorenzo, nella cui parte finale (pp. 132-139) si descrive la fillossera.
[2] Evola, (1876), p. 60.
[3] Paolino-Pistone, (1888), pp. 220-23.



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