sabato 23 novembre 2013

CHE C'ENTRA IL CASTELLUCCIO CON CARMINU TAVANU?


Un certo modo di parlare non ama dire le cose direttamente ma fa la "girata"  ovvero un giro di parole, con ricorso a metafore, aneddoti, allusioni, iperboli, esagerazioni, ironie, rime ed ossimori, per colpire, alla fine, non in maniera più leggera ma in maniera epica, facendo diventare quella trovata, quella parola lì, memorabile. Per l'eternità. 

Così amano fare i racalmutesi, ma non solo loro, ovviamente.
I francesi, ad esempio, attingendo al loro esercito, hanno inventato l'aggettivo "lapalissiano" eternando il generale La Palisse per significare uno o cosa  "évident", di poca originalità.  A Santa Elisabetta ogni anno rievocano il pigro Nardu del presepio che tanto pigro non è se per la festa dell'Epifania scende in piazza col fucile a tracolla, si riempie le gote di ricotta e la spruzza sulla gente.

Ma i racalmutesi, quando aprono la bocca,  sono caustici di natura, direi: per un eccesso di condimento, il bianco cloruro di sodio proveniente dai sotterranei banchi di di sale; facili ad infiammarsi, e, se ci sbampa la cuda, s'avvampa loro la coda, attingono a piene mani zolfo giallo dalle miniere circostanti e rendono fosforescenti i loro giudizi, le loro battute, i loro discorsi, con marchiature indelebili per i malcapitati.

Qualcosa del genere avvenne a Carminu Tavanu: volendogli dare del pigro, è stato scomodato addirittura l'austero Castelluccio, immaginandolo "incoppolato" ovvero circonfuso, a mo' di coppola, di nere e piovose nubi la cui sola vista scoraggiava il Tavanu ad alzarsi dal letto per andare a lavorare la terra. Da qui dire Tavanu e dire pigro è stata la stessa cosa, essiri comu Tavanu, fari comu a Tavanu.

Eppure come Lapalisse, Tavanu è ricordato esclusivamente per il detto che gli è sopravvissuto; 
io l'ho appreso, e gliene sono grato, dal mio vicino di casa zi Pippinu Tulumello detto "Palazzaru", componente assieme a Zammitu e ad altri della mitica banda musicale diretta dal maestro Pietro Martorana.  
Le note del suo trombone solista cantabile tenore sono svanite da tempo ma le parole resistono. 






Lu Castiddruzzu èni 'ncuppulatu;
Carminu Tavanu, muoviti curcatu. 


Il Castelluccio da nubi è sovrastato; 
Carminu Tavanu, rimani a letto sdraiato.




Sulla traduzione: "muoviti", anche se richiama il corrispondente italiano "muoversi", nel dialetto racalmutese significa "fermati", "sta' fermo", "rimani"; tanto per contraddire ed essere originali, 
Inoltre, "èni" significa "è", rappresenta una forma arcaica e localistica di coniugazione del verbo "essiri" che chi scrive in dialetto oggi ne fa volentieri a meno.  

1 commento:

  1. Eduardo Chiarelli su fb, con la sensibilità che lo contraddistingue, ha postato un commento che arricchisce di senso il detto rivelandoci la vera natura dello "iurnatàru", del lavoratore che veniva assunto con impegno giornaliero, e che il lavoratore "iurnataru" accettava non tanto per una forma consuetudinaria di contratto senza contratto di lavoro continuativo, bensì per una vera e propria filosofia di vita che riservava ad ogni giorno la sua pena e il suo precario sostentamento.

    Eduardo Chiarelli:
    Ciao Piero, adesso che ne hai parlato, anch'io mi sono ricordato di un aneddoto che i più anziani raccontavano: dicevano che quando qualcuno voleva "addruvari" (ingaggiare) Tavanu per piú di un giorno, questi non accettava mai, gli si doveva semplicemente e solamente dire "Ca c'era di fari na jurnateddra" (c'era da lavorare per una giornata) e lui accettava; solo alla fine della giornata di lavoro gli si poteva chiedere se poteva ritornare il giorno successivo, e normalmente lui acconsentiva.
    Ecco, quello sì che "era un veru jurnataru " .

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