mercoledì 31 luglio 2013

VIVA VIVA SAN CALÒ?


MODI DI DIRE E MODERNITA'



Viva Viva San Calò

Evviva, evviva san Calogero. 

E' soprattutto l'espressione di un sentimento di venerazione ma è anche un'invocazione.
Inoltre, si dice quando taluno vuole o pretende consenso o pensa che questo consenso sia facile da riscuotere facendo emergere superficialità nel non valutare le difficoltà connesse a qualsiasi iniziativa.

Chiddru voli sempri viva viva san Calò!

Quello vuole sempre evviva, evviva san Calogero!


A chiddru ci pari sempri viva viva san Calò!

A quello sembra sempre evviva, evviva san Calogero!

Viva Viva San Calò, dunque, è soprattutto un modo di dire che deriva da un festoso modo di fare.

Cosa non è permesso infatti durante la processione del san Calò di Giurgenti?

La danza della vara (il fercolo) con la statua, gli abbracci, i baci, i toccamenti della statua nera, i bambini sollevati e strusciati alla miracolosa effigie, gli arrampicamenti dei più nerboruti, focosi e devoti portatori a costo di calci pugni sputi e bestemmie, il lancio dai balconi delle pagnotte guizzanti come palle di fuoco scagliate da antiche catapulte.

Ma Monsignore ha detto basta.

I tempi sono duri per tutti e cambiano anche i modi di dire e i modi di fare nonostante associati a popolarissimi santi.

Anche per san Calò la musica cambia e non gli si può dire sempre e comunque "viva viva". Ecco il perché del punto interrogativo nel titolo del post.

A Naro già da qualche anno hanno corretto teologicamente l'invocazione con Viva Diu e San Calò, rammemorandolo con una pioggia di bigliettini fatti fioccare dai balconi.

Il pane non si lancia più ad Agrigento e a Porto Empedocle eppertanto non si raccoglie da terra ma si dà in offerta alla chiesa che lo ridistribuisce, benedetto, ai fedeli e ai bisognosi.

Una tendenza a smussare gli eccessi, a correggere il senso teologico. Ma l'ultima sortita dell'arcivescovo di Agrigento mira al cuore della festa,  al nocciolo tipico, agli aspetti più rozzi e sanguigni. Per l'arcivescovo di Agrigento, come scrive amareggiato nella lettera inviata agli agrigentini, questa non è fede, questi sentimenti non sono religiosi, questa non è una festa tutta cristiana.


L'agrigentino Elio Di Bella echeggia altri umori e, nel commentare la canonica presa di posizione, titola il suo post "MONSIGNORE LASCI PERDERE".

Ricordo che un altro Monsignore, venticinque anni prima, riunì nel Seminario di Favara i rappresentanti dei vari comitati per i festeggiamenti in provincia invitandoli a solennizzare le feste soprattutto con preghiere messe e digiuni. Più sobrietà e meno eccessi. Eravamo in molti ad ascoltare. Con quale risultato?

Difficile impresa modificare inveterati usi. E' sempre l'annoso dilemma delle tradizione: preservarle o innovarle? Correggerle in senso liturgico e teologico o lasciarle discutibilmente paganeggianti?
Ne sanno qualcosa i racalmutesi con la devozionale cavalcata fino in chiesa e la rissosa presa del "Cilio". E bene mi è finita quando introdussi la figura della contessa nella storica recita cinquecentesca: senza nulla alterare nella sostanza, si badi bene, altrimenti...

Ma qui non si vogliono discutere magni argomenti, si è voluto semplicemente chiosare un modo di dire legato a modi di fare che, oltre ad essere come sono, ispirano tante cose. Anche poesie.

c’è cu bastimìa

Lu populu prega. Lu Santu camina. 
Lu miraculu s’aspetta quannu veni. 
Cu jetta hiuri, 
cu cci tira pani, 
la banna sona, lu parrinu veni
 ppi diri 
“chista nun è la vera divuzioni”. 
Tuttu si ferma. 
Ognunu si cummovi. 
Nnomentri lu tammuru tammuria. 
Volanu prijeri. 
C’è cu bastimìa.

Il popolo prega. Il Santo procede. / Il miracolo si attende quando viene. / Chi lancia fiori, / chi gli lancia il pane, / la banda suona, lu parrinu veni / per dire / “questa non è la vera devozione”. / Tutto si ferma. / Ognuno si commuove. / Nel mentre il tam-buro rulla. / Volano preghiere. C’è chi bestemmia.

Da Venti di sicilinconia, Medinova editrice, Favara 2009




Il post di Elio Di Bella


 


© Piero Carbone
Foto proprie











3 commenti:

  1. Da piccolo sapevo che di San Calojeru ce ne erano tre: San Calojeru di Girgenti, San Calojeru di Naru e San Calojeru di nni nù (quello da noi).
    Si diceva che forse erano fratelli e che non fossero santi di pari livello: ovviamente si affermava con evidente tono campanilistico che quello di Racalmuto era il migliore, come, del resto si affermava per tante altre cose, con la seguente rima:
    San Calojeru di Girgenti fa li grazzii e si nni penti;
    San Calojeru di Naru fa li grazzii a manu a manu;
    San Calojeru di nni nù fa li grazzii a dù a dù.

    In altri termini quello di cui fidarsi era quello di nni nù, perchè addirittura ti concedeva una grazia doppia rispetto a quella da te richiesta.

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    Risposte
    1. Mi hai fatto venire in mente un ricordo d'infanzia ! Grazie !
      Angela Lauricella

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  2. Da fb:
    Piero Carbone:
    Caro Lillo, non tanto e non solo perché il tuo nome è Calogero, ti chiedo di potere pubblicare nel post qualche tua foto su san Calò, sicuro che saprai darci sguardi nuovi di visioni comuni o antiche così come ci hai hai finora abituati facendoci conoscere con grande generosità i tuoi lavori sulla rete. Viva viva san Calò.
    Ieri alle 15.23 · Mi piace · 2

    Lillo Perrone:
    Calogero è un nome composto di origine greca che, come sai, corrisponde al mio effettivo nome anagrafico che il siciliano sarebbe cali-ddu, che, a sua volta, per tipica pigrizia siciliana diventa solo "liddu" e che, per italianizzazione, ridiventa Lillo. Detto questo, prendi quello che vuoi, il nome è solamente un'accezione vocale. Sinceramente io devo ammettere che non ti ricordo e che non intendo per niente disquisire sul tuo reale nome anagrafico o sulle eventuali successive sue "smorfiature" formali. Mi sembra del tutto superfluo. Mi devo invece scusare per non aver risposto alla tua richiesta, ma il messaggio l'ho visto solo oggi e per giunta, in modo del tutto casuale, per un’involontaria incursione sulla tua bacheca. Ritenendomi lusingato dalle tue attribuzioni di “grande generosità facebookiana”, mi prostro al cospetto di cotanto Santo, mi associo volentieri al "viva, via San Calo-gero" e, se iniziativa non lo offende, a metterLo anche in bella mostra!
    22 ore fa · Mi piace · 1

    Angelo Cutaia Di Racalmuto: Io penso ad una contaminazione fonetica con il nome proprio arabo Kalil.

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