domenica 18 novembre 2012

COME UNA BANDIERA


           

         Nicolò Tinebra Martorana, pubblicando nel 1897 Racalmuto. Memorie e tradizioni, si dichiara scettico nei confronti della “tradizione” ma poi a pagina 120, nel descrivere la Festa, si abbandona e scrive: “Oh! perché, dico, perché non torna per te il buon tempo antico, tutto entusiasmo religioso? Allora tu saresti il prediletto della Beddamatri del Monte...”.
   


In pieno clima di guerra fredda, nel secolo scorso, il granitico vescovo di Agrigento, mons. Giovan Battista Peruzzo, venne a scuotere i fedeli racalmutesi, che rischiavano di tralignare verso il comunismo, avvalendosi di un argomento irrefutabile.  – Volete, - disse, - il comunismo? E allora vedrete la vostra Madonna del Monte ruzzolare con una corda al collo, strascinata per la scalinata del vostro santuario.
         “Le donne” riferisce Eugenio Napoleone Messana nel suo Racalmuto nella storia della Sicilia, pubblicato nel 1969, “levarono alte grida, gli uomini rabbrividirono”. 





Nei primi Anni Settanta, sempre del secolo scorso, lo stesso Eugenio Napoleone Messana, convertitosi al comunismo per ripicca, scendeva quando poteva dall’Emilia Romagna, dove si era trasferito, e veniva a comiziare nella sua Racalmuto. Esordiva portando col pugno chiuso  “il saluto dei compagni dell’Emilia rossa”, dopodiché, nel bel mezzo del comizio, per alcuni anni si è lasciato andare all’immancabile confessione:  “Ogni anno a luglio, quando penso alla Festa del Monte e sono  lontano dalla mia Racalmuto mi rivuddri lu sangu di li vini (mi ribolle il sangue nelle vene) –  e si premeva significativamente il polso della mano sinistra stringendolo fra il pollice e l’indice della mano destra, tra gli applausi liberatori, naturalmente,  del pubblico, rosso. La Piazzetta, dov'era posizionato il palchetto elettorale, era sempre gremita.
Nel 1978, poco prima di morire,  il Messana scriverà la prima versione del testo della Recita in dialetto siciliano La vinuta di la Madonna di lu Munti.



Lo stesso Sciascia nelle Parrocchie del 1956  metteva in dubbio la provenienza della statua della Madonna del Monte dall’Africa, ma quando è il gesuita Monreale a sostenerlo invoca il ghigno di Voltaire, in un racconto del 1987,  per osservare che un gesuita aveva smontato quanto un francescano aveva cercato di dimostrare, vede consumarsi divertito l’assonante detto Chi di ragione ferisce, di ragione perisce; per i racalmutesi però,  e da racalmutese,  avoca la prassi dei napoletani che restano attaccati al loro santo anche se ne è stata messa in dubbio la storicità, e approva quell’anonimo napoletano che “esortava, in una scritta murale, san Gennaro ad infischiarsene del decreto che lo dà per inesistente”.
Quando mai egli stesso, che solitamente rifuggiva la calca, in verità con una lieve punta di snobismo, si lasciava sfuggire, anno dopo anno, la rissosa presa della bandiera del “cero” dei borgesi?






La madre di un mio amico, mettendo piede tempo fa a Palermo, quando arrivò nei pressi di Corso Tukory, illuminato a festa con una grandinata di lampadine disposte in multiforme galleria, esclamò: Ccà pari la festa di lu Munti! Qui sembra la festa del Monte!
Era invece la festa di Sant'Antonino. E non aveva visto le luminarie e il carro e il corteo e li firriòli cioè i fuochi d'artificio del Festino di Santa Rosalia! Ma son sicuro che avrebbe fatto la stessa esclamazione. 
Allora ho capito che la Festa del Monte per un racalmutese è il metro della propria meraviglia. 
Al di là di ogni ragionevole confronto quantitativo e qualitativo. 


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