martedì 6 novembre 2012

ALTRO CHE PRESEPE!

Non so se il fondatore del Presepe vivente di Contrada "Cinquanta" - presso Menfi - sia ancora alle prese con il pagamento della tassa comunale, che una volta si chiamava ICI e che ora si chiama IMU; certo è che tasse a parte, è difficile stabilire quando e quanto la creatività che sconfina dalle regole tradizionali debba pagare pegno. 





IL PRESEPE  APOTROPAICO  DI  BALDASSARE  
INTERRANTE 
ovvero 
MUSEO, ARCHITETTURA O SCULTURA? 



Lungo uno stretto e tortuoso sentiero acciottolato ci si imbatte in varie casupole e strani assembramenti di oggetti a cielo aperto che sembrano sculture.
Nella prima casupola è apparecchiato un presepe con statuine di pasta di sale, nelle altre  viene fatto rivivere un mondo scomparso indicato dalle didascalie: fabbro, pastaio, fornaio, pastore. 
Personaggi in costumi israelitici offrono pane, uova, formaggi.  In una casupola si vendono prodotti biologici tra cui nchiappe di pomodori secchi con tanto di traduzione inglese: “Sun Dried Tomatoes in Oil”, in un’altra è ricreata la scena della natività: un giaciglio per Gesù Bambino, una carrozzella con le ruote in legno rivestite di corda, l’asinello e due pony al posto del biblico bue. 
La notte di Natale lo scenario si anima, il bambino e la sacra coppia diventano in carne ed ossa, Baldo impersona San Giuseppe, il sei gennaio invece prende altre sembianze:


 “Baldassare è il mio nome di Re Magio
    e su questa terra sono di passaggio”.



Fra il sacro e il profano, finalmente si arriva in cima al percorso dove si trova la “locanda” . Entrando si viene assaliti da stupore e da qualche dubbio: alle pareti di forma circolare è un’esplosione di oggetti, appesi, inchiodati, appoggiati: gioghi di buoi, sfilze di lumi a petrolio, cannìstra, capizzùna, capizzàglia, forme del calzolaio, stadere, falci, roncole, seghe, morsetti, pialle, chianùzza, sorpassati ferri da stiro a carbone, macchine da cucire a pedale, arcaiche macchine per scrivere Continental, crìva, brascèri, cafìsa, pompe arrugginite per spruzzare ddt, mortai, vèrtuli, coffi, cufina, cuffùna, vascèddi, recipienti in terracotta e una miriade di altri oggetti accompagnati da incredibili didascalie: 


“L’Amore è la gioia dell’Armonia / L’Armonia è l’Anima della vita”.      “Non voglio perché lo voglio”. 
“Chi rompe le cose / ci rompe pure le cosone”.




       In un canto è ricreato amorevolmente l’interno di una casa contadina. Nell’altro ambiente, anch’esso circolare, riluce una funzionante  e odorosa macchinetta per il cafféspresso.  

       Seduti su rustici sgabelli di vimini, sotto un tetto di cannìzzi,  attorno un tavolo ricavato con il fondo di una botte, cerco di capirci qualcosa e chiedo a Baldo se intendeva rifarsi alla casa-museo di Antonino Uccello o alla “Godranopoli” di Francesco Carbone. “Né a questi né ad altri,” che tra l’altro non conosce, è la risposta. Anzi è convinto che la sua sia una scultura: la gente la visita, la fruisce, la vive, vi si muove dentro. E’ una moderna scultura circolare. Come ce ne sono negli “ateliers” degli artisti e nei musei.




Nel contenzioso col comune, che vorrebbe fargli pagare l’I.C.I., è prevalsa finora questa tesi. Su quali parametri – questo è il problema - i tecnici comunali dovrebbero fargli pagare la tassa che  normalmente  viene applicata alle comuni abitazioni e agli esercizi commerciali?

In effetti, la sua raccolta di oggetti e i suoi manufatti non solo non hanno il rigore scientifico di un museo etnografico ma neanche le pacifiche simmetrie dell’architettura corrente. Interrante non è Gaudì. Ciò non toglie ch’egli vorrebbe per sue creazioni comprensione e sostegno dagli enti pubblici: in fondo dà una mano all’economia locale attirando migliaia di visitatori.





       “E’ un’opera d’arte in divenire,” spiega l’artista Baldo, “se tu vieni fra quindici giorni non la troverai più la stessa. Per me è un gioco, mi diverto. Nulla si crea, tutto si trasforma. Per me è un sogno, vivo nel mio regno. Forse un giorno farò qualcosa di stabile, una struttura agrituristica per assicurare un futuro ai miei figli”.

       Personalmente credo che tutto ciò assuma un significato apotropaico: come per i popoli primitivi, una sorta di recinto che serva a preservare un’area circoscritta da qualsiasi influsso negativo proveniente dall’esterno: decadenza morale, conflitti, disastri ecologici. Baldo Interrante se ne preserva a suo modo: tappezzando il suo mondo fittizio di oggetti desueti, obsoleti, “antichi”.

 Nel fare i conti con il proprio tempo c’è chi reagisce internazionalizzandosi, proiettandosi nel futuro, legandosi ai prodotti appartenenti a correnti artistiche moderne, come gli amministratori della vicina Gibellina ad esempio: non avendo più le pietre antiche incistano il loro immaginario nel tecnologico cemento, lo legano agli altisonanti nomi del mondo dell’arte.

Interrante nel suo piccolo, segue il movimento opposto. Con un certo fascino di ieraticità.

          Al di là di ogni intenzione,  il suo “mondo” risulta essere un archivio sentimentale della memoria dismessa di un paese terremotato.





1 commento:

  1. la nostalgia per le sane tradizioni perdute non deve indurci a rinunciare alla lotta per migliorare il nostro mondo.

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