venerdì 30 novembre 2012

I POST DEL MESE. Novembre 2012



    AFFERRARE IL VENTO


    Anonimo



    Il vento, sfuggente fenomeno naturale, spontanea immagine di  sentimenti e pensieri, di inquietudini e slanci,  di entusiasmi e scoramenti, personali e collettivi,  di spirito che si effonde o di vacua impermanenza, foriero di sensi, del senso, dell'intera vita.

    Capita spesso di evocare il vento, di fraternizzare con esso, per esprimere , quando vi si riesce, sensazioni poetiche.

     Il vento nei poeti spagnoli, ad esempio: soffia costante, e denso.




    Silba el viento, grande y frío
      
    Sibila il vento, freddo e grande

     Juan Ramón Jiménez,  El adolescente.


    Ya libre y feliz, como viento que no alla ni rosa, ni mar, ni molino

     Libero e felice come il vento che non trova né rosa né mare né molino

    José Hierro, Canto a España


    Viento contra viento.

    Yo, torre sin mando, en medio. 

    Vento contro vento.
    Io, torre senza dominio, in mezzo.

    Rafael Alberti, Nocturno.


    Gigante hoja que el viento
    riza y empaja en el mar...

    Onda gigantesca che il vento
    increspa e spinge nel mare...

    Gustavo Adolfo Béquer, Rimas
    Trad. di Ileana Schwiger Acuti




    Il vento soffia in ogni dove; ognuno cerca di afferrarlo o significarlo come può.




    Vientu, siemmu vientu.

    Li seculi cummoglianu lu suli
    e lu suli li squaglia comu cira.

    Li palori ìnchinu lu munnu
    e lu munnu li scarpisa comu pira.

    Pozzu vinciri lu friddu di la morti
    sulu ccu disidderiu e puisia.

    Essiri. Unn’essiri. Duranu un mumentu.
    C’era, un c’è cchiù. Cu l’arrigorda?

    Vientu, siemmu vientu.

      


    I secoli coprono il sole
    e il sole li scioglie come cera.

    Le parole riempiono il mondo
    e il mondo le calpesta come pere.

    Posso vincere il freddo della morte
    solo con desiderio e poesia.

    Essere. Non essere. Durano un istante.
    C’era, non c’è più. Chi se lo ricorda?

    Vento. Siamo vento.




    Viento, somos viento

    Los siglos recubren el sol
    Y el sol los derrite como cera.

    Las palabras llenan el mundo
    Y el mundo las pisa como peras

    Puedo ganarle al frío de la muerte
    Nada más que con deseo de poesía.

    Ser. No ser. Tardan un instante.
    Hubo, y ya no hay. ¿Quién se acuerda?

    Viento, somos viento


    Trad. di Juan Diego Catalano 














    mercoledì 28 novembre 2012

    UN FOTOGRAFO SILENZIOSO

    La testimonianza di Angelo Di Garbo su Arturo Patten

    (seguito del post di ieri)






    UN FOTOGRAFO SILENZIOSO

    DI

    ANGELO DI GARBO 


     Ho conosciuto Arturo Patten al museo di Palazzo Abatellis a Palermo, ma non avevo alcuna idea di chi fosse quell’uomo. 

    Seduto nella piccola sala di Antonello da Messina guardava il dipinto dell’Annunziata e scriveva, pensava e poi ritornava a scrivere.
    Tutto questo con una frequenza quotidiana e per diversi giorni.
    In lui avevo percepito qualcosa di diverso rispetto ai  normali frequentatori del museo ma non dicevo nulla.




    Successivamente, quando si accorse della mia silenziosa e discreta presenza, mi rivolse la parola. 
    Allora argomentammo sulle diverse percezioni e sensibilità che in quella piccola sala predisposta  nella sua sistemazione dall’architetto Carlo Scarpa confluivano per vagare altrove. Parlammo dello sguardo dell’Annunziata, della qualità della luce emanata da quel piccolo capolavoro, della sua qualità pittorica, dello spazio prospettico rinascimentale e di nuovo, degli occhi profondi di Lei che incontravano adesso i nostri.
    Patten, stupito dalla profondità dello sguardo di questo ritratto mi ricordò della potenza dell’altro lavoro di Antonello presente nell’isola, esattamente  al museo Mandralisca di Cefalù: Il Ritratto Dell’Ignoto Marinaio.



    Inevitabilmente andavamo costruendo un rapporto, un filo conduttore che ci portava ad approfondire tutte le relazioni possibili riguardanti la grammatica del vedere. Parlammo e scriveva ancora e nulla mi faceva pensare che facesse il fotografo. Lo scoprii  quando mi chiese cosa facessi al museo e quando gli confidai che anch’io in qualche modo ero coinvolto dal mondo della pittura e soprattutto interessato a quello  dell’incisione e della calcografia. (Allora disegnavo le lastre di zinco utilizzando la tecnica della Puntasecca, ma lo facevo in casa non avendo mai avuto un vero studio d’artista).

    Volle venire a vedere accompagnato da un suo assistente i miei lavori e rapidamente trasformò il soggiorno di casa in un vero e proprio studio. Fu allora, solo allora, che lo vidi fotografare. Arturo Patten era un fotografo silenzioso, dava poche indicazioni numeriche sui tempi della luce e nulla più… 



    E’ stato l’unico “Amico” che seppe regalarmi uno studio “d’Artista”. Successivamente, mi invitò in un appartamento ubicato in un palazzo di Piazza Unità D’Italia, dove aveva organizzato uno studio volante, e lì mi fece dei ritratti. 

    Di Arturo Patten, non seppi più nulla.
    Solo dopo un paio di anni il suo assistente mi consegnò uno scatto del maestro americano rendendomi partecipe del suo definitivo andare. 

    Conoscerlo è stata per me una bella lezione perché mi fece comprendere di come l’immagine debba prendere corpo a partire da una elaborazione mentale e da altrettanti attimi d’osservazione e riflessione. La fotografia era presente nella sua mente la fotocamera da lui usata, solo un mezzo, un giocattolo utile a materializzare i suoi pensieri continuamente in divenire.  

    Palermo, 2008        

                                            Angelo Di Garbo  

















    Foto dell'amministratore del blog                 





    PER PATTEN


    1.



    E quel progetto?
    Circa quattro anni fa, Attilio Gerbino, curatore, assieme a Sebastiano Favitta, dellla Galleria Fotografica "Ghirri" di Caltagirone,  mi lanciava a suo dire un paio di “esche”, la prima riguardava la presentazione di un mio libro, la seconda una richiesta:

    “Mi piacerebbe che scrivessi un testimonianza per il progetto editoriale "Memorie di un modello siciliano di Arturo Patten" collaterale alla sua mostra. 
    La mostra si farà al Centro Valdese di Riesi tra dicembre e gennaio e a Caltagirone nei primi mesi del 2009. Come vedi il progetto gradualmente va in porto. So che non sei più assessore a Racalmuto (mi ha informato Angelo Pitrone) e questo mi dispiace perché avevi delle belle idee sul Castello e mi sa che la tappa di Racalmuto a questo punto salta. In ogni caso un tua testimonianza in forma quasi di memoria sarebbe un bellissimo ed originale contributo alle nuove tappe siciliane di Patten. 15 ottobre 2008.”

    2.


    Non so a che punto sia il progetto, ma so che varrebbe la pena realizzarlo, non solo per ricordare  la vicenda artistica ma anche quella umana di un fotografo d’eccezione che ha intrecciato l’una e l’altra alla Sicilia: raccogliere le testimonianze scritte di tutte quelle persone e di quei personaggi che Arturo Patten ha fotografato per una sua ideale e mentale galleria di volti siciliani, in particolare di artisti e scrittori, anche se di alcuni purtroppo non sarà più possibile.




    3.

     Arturo Patten è nato a Torence, in California. Ha alimentato i suoi interessi per la fotografia facendo esperienze in America, in Europa, in India,  prediligendo la Spagna, la Francia, l’Italia; ha vissuto a New York, a Parigi, a Roma, è approdato in Sicilia dove ha posto fine al suo viaggio terreno. 

    “Tante croci di ferro anonime – ha scritto Maurizio Masone nel libro-catalogo In fondo agli occhi, edizioni di passaggio, Palermo 2005, - circondano le spoglie di Patten nel piccolo cimitero di un villaggio a pochi chilometri di Agrigento, Montaperto. […] Arrivato in città decise di restarci. Che sia stato per scelta o no, è qui che è accaduto ed è qui che riposa. […]
    Ma Patten lo conosciamo grazie ad Edith de la Héronnière, autrice del bel libro Diario siciliano. Dal vulcano al caos, edizione italiana a cura dell’Ippocampo, 2004 […]

    Il libro evoca il rapporto di ammirazione e di dolore che la scrittrice ha stabilito con la Sicilia, sulle tracce spirituali dell’amico scomparso”.


    4.



     Io lo ricordo così.





    5.



    Un pronubo incidente

    L’appuntamento era per le tre del pomeriggio in via La Farina, al primo piano della palazzina dov’era allocata la libreria Sellerio. “Sarà per poco”, pensai; e posteggiai la macchina in seconda fila. “Sì”, confermò Patten, “non ci staremo molto”.  Con la macchina fotografica fra le mani, guardò fuori dalla finestra: se non ricordo male era un cielo di novembre. Commisurò l’apertura del diaframma, mi fece sedere su un cubo di legno e si mise a fotografare. Senza trucchi, ovviamente. Ricordo che l’unico aggiustamento fu quello di assecondare una piega naturale della camicia.

    Mentre nel silenzio fioccavano i tipici clic degli scatti a ripetizione, confesso che ad un certo momento provai imbarazzo: mi sentii osservato, studiato. Non mi si chiedeva di cambiare posizione o di assumere estrosi atteggiamenti, ma era il fotografo che ricercava, credo, un punto prospettico, il “suo”, quello “esatto”, per catturare chissà che cosa, impercettibili sfumature. Si avvicinava, si allontanava, faceva muovere le racchette giganti in tela argentata al buon aiutante Luca Lo Jacono. Non smetteva di guardare fuori dalla finestra.  Crebbe il mio imbarazzo quando, pensando che fosse tutto finito, Patten estrasse diversi obiettivi: semplici? acromatici? doppi? aplanatici? anastigmatici?  Li paragonai ai ferri del chirurgo. Fece accendere i faretti e aprire grandi ombrelloni di tela bianca. Estrasse un pugno di rullini. Mi rassegnai: non riuscivo più a capire quale fosse il tempo necessario per fare quello che stavamo facendo: un ritratto fotografico.




    6.

    Lo capii quando, qualche ora dopo,  uscendo dal numero civico 10 di via La Farina, trovai sul parabrezza della mia povera auto una contravvenzione. Lì per lì, me ne feci una ragione: l’onore di un ritratto di Arturo Patten valeva bene  una multa salata. Ne ebbi conferma quando successivamente arrivò la foto del mio ritratto in bianco e nero: lo ammirai in sé oltre una comprensibile dose di narcisismo. Ne avrei avuto conferma dieci anni dopo, rivedendomi esposto accanto ad altri “personaggi” siciliani: importanti o meno importanti eravamo ugualmente i modelli di Patten. Feci appena in tempo a ringraziarlo telefonicamente, lui californiano, in una delle sue residenze europee, non ricordo se a Roma o a Parigi; anzi m’è rimasto il rammarico di non averlo mai più potuto rivedere per ringraziarlo personalmente. Lo faccio però idealmente ogni volta che la galleria dei suoi ritratti rivive nelle esposizioni che si vengono facendo in diverse città.  
                     
    Altro che multa! Penso piuttosto che quell’incidente occorsomi davanti al numero civico 10 di via La Farina sia stato di buon auspicio pensando all’inizio di un cammino e che il romanzo di un altro americano, L’età dell’oro di Gore Vidal, comincia con la storia di un parcheggio.
                                                                                      
    Palermo, 17 novembre 2008
      Piero Carbone




    7.








    Foto 1. Cartolina-invito per mostra di Agrigento
    Foto 2. Cartolina-invito per mostra di Agrigento. Retro.
    Foto 3. Cartolina-invito per mostra di Palermo.
    Foto 4. Cartolina-invito per mostra di Palermo. Retro.
    Foto 5. Durante la mostra ai Cantieri Culturali alla Zisa (Palermo). 
    Foto 6. Elenco delle fotografie in Arturo Patten, In fondo agli occhi,edizioni di Passaggio, Palermo 2005
    Foto 7. Antonino Masone mi fotografa accanto alla foto di Patten, Museo archeologico Regionale "San Nicola" - Agrigento, 17.12.2005